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Il mojito perfetto

Il blog di Claudio Stefanini – bestemmie letterarie aperiodiche: scrivono tutti, perché non dovrei farlo io?

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Gosto

La Tempesta Perfetta

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-Non ce la faccio più.

Aspetta, le dico io. Aspetta e vedrai che stasera tutto questo sarà cancellato in un attimo.

-Ma io  ho fame,sete,sono stanca!

Vabbè dai, ieri sera hai mangiato per una settimana, vedi di reggere un po’. Qua son romani, funziona tutto un po’ così.

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Il viaggio era cominciato sotto i soliti auspici, per tutti i protagonisti di quest avventura. Anche per Francesca, che è romana, ma si sa che in un modo o nell’altro si è sempre in viaggio. In effetti lei è in viaggio da molto tempo, con alterne fortune. Tre anni prima ci eravamo detti che forse non ci sarebbe più ricapitato, visto che quando c’è un tumore di mezzo non lo sai mai se tra tre anni ci sarai ancora, però intanto rieccoci qua, a smoccolare -parecchio, a dire il vero- sulla vita puttana che a volte è davvero un po’ cattiva. Francesca è mia amica da sempre, da quasi quarant’anni oramai. Erano tre fratelli e una mamma burbera ma unica, la Giuliana. Che donna la Giuliana! Nel 1983 andai ad abitare da loro a Roma per un mese, perché di Roma era la mia prima vera ragazza importante, la Carla. Allora la Giuliana era già vedova e tirava su quei tre ragazzi come solo una mamma può fare, nonostante tutto e contro tutti. Carlo, Giulio e Francesco. No non è un refuso, ho scritto proprio Francesco. Dei tre devo dire che avevo legato più di tutti con Francesco. Loro erano i nipoti della farmacista del mio paese e ci conoscemmo proprio lì, qualche vita fa. Giulio era il più grande, simpatico sbruffone come alla fine tutti i romani. Carlo il più piccolo, classe 1965, la mia stessa età.

E poi Francesco, il mezzano, il più alto, anche il più intelligente. Quello che mi disse, in tempi non sospetti, che un giorno la musica l’avremmo ascoltata (anche Bruce!) attraverso memorie a stato solido. Era avanti, il ragazzo. Nel 1983 stava uscendo il cd come supporto musicale eterno. “Il cd nasce già morto” fu la sua sentenza, e aveva ragione.

Dopo quell’estate ci perdemmo un po’ di vista, rividi Carlo una dozzina di anni dopo al mio paese, visibilmente ancora scioccato da una delusione amorosa. Poi la vita va avanti e ti fa dei regali casuali. Qualche anno fa incontro per caso la suddetta zia, oramai pensionata, che mi racconta, schifata come solo un cattolico oltranzista può fare, che  suo nipote Francesco si era fatto trans (sic) ed ora era un “ibrido”e che era come se l’avessero ammazzata…In ogni caso mi fu facile, a quel punto, ringraziare la zia – e sbarazzarmi di una persona così abietta –  che comunque mi aveva dato modo di recuperare informazioni per trovare,a questo punto, la mia amica Francesca Eugenia. Donna a tutti gli effetti, anche legalmente.

Ricominciammo a sentirci, telefono e skype, sia con lei che con la Giuliana. Per alcuni mesi  ogni tanto ci sentivamo e ridevamo pure assai, con la mamma che continuava a chiamarmi Stefanino ed a ricordarmi di come si preoccupava, quell’estate 1983, quando ero stato loro ospite. Nel frattempo Giulio era morto anzitempo per un tumore e Carlo aveva seri problemi con se stesso.

Un giorno mi chiama Francesca dicendomi che mamma stava male ed era ricoverata all’ospedale. Il tempo di organizzarmi e, dopo 29 anni che non ci vedevamo, rividi sia Francesca che Giuliana, nella sua stanza nella clinica sull’Aurelia. Pare che fossero settimane che non sorrideva: lo fece di nuovo vedendomi e di questo Francesca mi ringrazia sempre. La giuliana morì da lì ad un mese. Con la Francesca rimanemmo d’accordo di vederci più spesso e la nuova occasione fu il concerto di Springsteen alle Capannelle nel 2013, dove riscoprì tutta l’emozione e la carica che quell’uomo può dare a chiunque. Fu talmente bello che ci chiedemmo seriamente se avesse potuto ripetersi ancora un’occasione così.

Si! poteva accadere di nuovo.

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-Devo fare la pipì. Mi accompagni?

Certo che ti accompagno, anche se… vabbé dai, magari la faccio anch’io.

Ci allontaniamo dalla fila sotto il sole per andare a chiuderci dentro un Sebach, con quel piccolo presentimento che forse non era il momento giusto, ed infatti al nostro ritorno la fila si era mossa, qualche security man aveva aperto le cateratte e noi avevamo perso posto e amici, Cesare, Francesca e la Giovanna.

 

La Giovanna. La mia amica di concerti Giovanna, amica fisica comune di Renzo l’uruguagio, conosciuta telematicamente giocando a Ruzzle e proprio sulla chat di Ruzzle ci venne in mente di unire le forze per andarci a vedere il Boss a Roma alle Capannelle nel luglio 2013. La Giovanna, che lei e i treni proprio non vanno d’accordo. Reggiana, per raggiungermi a Lucca e proseguire poi insieme in auto prese un treno che arrivò in ritardo perché la sua linea era stata messa fuori uso da un fulmine. La Giovanna, che per arrivare a Roma nel luglio 2016 prende Italo e Italo risponde con la prima soppressione di una corsa nella sua giovane storia. Efficienza di Italo versus Giovanna 0-1. Luca Cordero di Montezuma poi è comunque riuscito a farla arrivare con la corsa successiva. Come scopriremo successivamente io e la Giovanna con i concerti ci portiamo fortuna, molto meno però quando cerchiamo di raggiungere i luoghi degli eventi.

La andiamo a prendere al capolinea dell’H con la mia macchina.

Entra dai, le faccio io.

-Magari, ma non c’è la maniglia.

Mi accorgo quindi solo allora che poco prima, per entrare a casa della Fra avevo preso stretto un cancello, così stretto che ho fatto la barba allo sportello posteriore destro con rasatura completa della maniglia d’apertura. M’importa sega, siamo a Roma, mi dico, ma intanto alla povera Ford mancava un altro pezzo. Un altro perché tre anni prima avevo grattato un angolo sempre da quelle parti lì nel tentativo di uscire dal parcheggio. Al prossimo concerto ci lascio il cofano.

-Mi devi capire, io non pensavo mica che fosse un casino così, ci chiudono dentro, non possiamo più uscire, fa caldo, i chioschi sono ancora chiusi, sono quasi 6 ore che stiamo qui e non so se ce la faccio, ho fame!

E ridaje! (semicit.), ma se ieri ti sei scofanata l’intero locale!

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In effetti la sera prima avevamo mangiato parecchio. Dopo esser stati a fare un sopralluogo al Circo Massimo, tanto il pit era già bruciato in mattinata, siamo .andati a berci qualcosa al Coming Out e poi abbiamo raggiunto Massimo (d’ora in poi Il Gosto, se no si confonde col Circo) e il suo amico DavidechefacevalevecidiCesare, cioè che ha tentato di prendere un numero per il secondo pit per l’altro amico di concerti Cesare che non era ancora arrivato. La Fra propone un posto che si rivelerà vincente, vicinissimo a casa sua, un po’ fuori dalle rotte turistiche: ci porta dal suo amico Romano, Pancione de cognome e de fatto. Er Barone, locale aperto da sei mesi dal suddetto Romano che più romano de così nun se potrebbe, persona squisita, dall’aspetto di un barbaro ma con una capacità di metterti a tuo agio fuori dal comune, come fuori dal comune sono la sua abilità e quella dello staff intero di cucinare pietanze paradisiache e di farti sentire a casa tua. Quest uomo, che ha avuto alterne fortune nella vita come scopriremo chiacchierando con lui tra una carbonara e uno scoglio, tra una Tennent’s fantastica e gli shottini di mirto che metteranno fuori uso quasi tutti i presenti, compreso il Gosto che rischierà di pagare cara la sua ingordigia, è in realtà un guru della cucina romanesca e il suo locale dovrebbe essere una meta obbligatoria per chiunque vada a Roma per qualsiasi motivo.

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Il Gosto…il Gosto è un amico. Un amico dai tempi dell’Università, stessa casa da studenti e grandi amicizie che dureranno per sempre. Un amico nelle cose belle come questa e nelle cose brutte, come quando andammo in Francia per portare l’ultimo saluto al nostro carissimo amico comune Franco, ma questa come si suol dire è un’altra storia. In ogni caso al Gosto gli voglio bene e anche lui me ne vuole. Son cose nostre. Ciò non toglie che non ci si prenda pesantemente per il culo, anzi. Ed infatti…

 

16 luglio 2016, ore 8 di mattina. Siamo davanti al gate 2 del Circo Massimo, in attesa di entrare. Mi chiama il Gosto al telefono. Sarà in ritardo e ci vuole avvertire, pensiamo.

-I biglietti! non ho i biglietti! ho lasciato la borsa in quel caxxx di posto di mxxx, xxx porcx, grunt, xxxmerdx porcaxxxxxxa (ad libitum)

Perfetto. Siamo all’ingresso, stanno per farci entrare, c’è anche Cesare -quello vero- che aspetta il suo biglietto che ha il Gosto assieme al proprio e il Gosto ha lasciato la borsa con i biglietti in un’osteria romana anche un po’ fuori mano che alle 8 di mattina non può che esser chiusa.

Il Gosto è un grande appassionato di musica e soprattutto di Bruce. Nel 2013 si è perso per pochissimo il concerto delle Capannelle, quello dove Springsteen ha suonato per la prima volta in carriera in Europa NYC Serenade, feticcio allucinazione di centinaia di migliaia di fan che si sono fatti decine di concerti senza mai riuscire a sentirla. Il Gosto è vicino alla trentina. Quel giorno ha potuto sentirla in diretta si, ma in lacrime ed attraverso il mio telefono, perché io c’ero, ma lui no. E qua senza biglietti si rischiava il bis.

Noi intanto entriamo tutti, primo varco senza bisogno di biglietto, cosicché anche Cesare intanto si unisce a noi ed iniziamo la doppia attesa. Del concerto e del Gosto.

Ne seguono 18 telefonate verso il mio cellulare più alcune perse, cronaca di tentativi di apertura anticipata del locale dove lui si era naturalmente appostato fin dalle 8.30, chiamando ripetutamente al telefono il Barone che è uno che se gli sei amico ti da’ il cuore, ma se pelo pelo ti prende sui coglioni allora dimenticateli (i coglioni, of course, perché potrebbe servirli alla vaccinara il giorno stesso a qualche avventuroso cliente).

In fila abbiamo spesso l’occasione di chiacchierare con perfetti sconosciuti che per il tempo dell’attesa si rivelano quasi come persone conosciute da sempre, poiché trovi sempre qualcosa di cui parlare quando hai in comune passioni forti per le quali ti sacrifichi volentieri. In questo frangenti mi dico sempre che se a governare vi fossero i popoli dei concerti il mondo sarebbe un posto migliore. Ma la fila mi ha permesso di conoscere meglio anche Cesare, finalmente.

Innanzitutto il suo istinto omicida verso l’amico Gosto era rientrato poiché alla fine, dopo innumerevoli telefonate, Er Barone s’era svegliato ed aveva aperto il locale permettendo il recupero di borsa e biglietti. Attraverso le sbarre della nostra prigione volontaria temporanea è avvenuto il passaggio del sospirato ticket, Cesare già dentro, Gosto fuori ben più lontano dall’entrare ma che, per problemi legati all’organizzazione ed all’ordine pubblico, entrerà alla fine nell’ovale prima di noi trovando per tutti un ottimo posto alla destra del palco.

Io e Cesare ci siamo sempre sfiorati nella conoscenza diretta ai concerti del Boss, finché al volo ce l’abbiamo fatta a stringerci la mano e fare due chiacchiere alla prima data di Milano 2016. Barba, occhiali a specchio, cappellino da pescatore ormai distrutto da 35 anni di concerti, una cultura musicale invidiabile -ne sa sicuramente più di me- ed una pazienza quasi infinita legata all’esperienza maturata in lustri di file e pit in lungo e in largo per l’Europa. Ha un figlio che ogni volta che torna a casa gli chiede quando metterà la testa a posto. Elliott Murphy l’ho scoperto grazie a lui, probabilmente il fan numero 1 di un artista tanto grande quanto misconosciuto. Un disco di debutto favoloso, stesso periodo degli esordi di Bruce. Bruce poi è diventato quello che è, Elliott è sempre rimasto nel sottobosco degli artisti che meriterebbero di più da un pubblico un po’con i paraocchi, ma tant’è. Proprio negli ultimi anni la gente lo sta riscoprendo, in effetti anch’io ho fatto così.

Nel frattempo Francesca litiga con uno della security per poter farci restituire almeno lo zaino se non il posto vicino a loro che avevamo prima del pit stop al bagno chimico. Malumori vari prima del passaggio attraverso i vari varchi della sicurezza, necessari dopo i fatti di Nizza di pochi giorni prima, ma alla fine si passa.

Il Circo Massimo col sole battente è un discreto spettacolo, questo ovalone allungatissimo con la gente che corre verso il palco, il vento soffia alleviando un po’ la calura ma ci butta anche tanta polvere negli occhi, trasformandoci tutti in tuareg europei, rossicci anziché blu.

Troviamo la Francesca che si era fermata ad aspettarci, allestiamo un posto abbastanza vicino al palco dove stenderci, andiamo finalmente a mangiare qualcosa. In quel momento degli altri era persa ogni traccia. Facendo un giro del Circo le carenze logistiche ed organizzative si facevano vedere. Due sole rampe di scale per scendere nell’ovale, una a mezza altezza, l’altra dedicata agli ingressi pit dove si imbucheranno poi, anche a concerto iniziato, vip, pseudovip e raccomandati. Semo a Roma. Per ordine di non so chi le rampe di scale erano ridotte a due perché all’evento precedente degli Stones l’applicazione di sei di quelle strutture aveva prodotto “danni irreparabili” al monumento. Se andate a vedere il Circo Massimo vi accorgerete che i danni irreparabili non li fanno certo quattro paletti ben montati…il risultato sarà che se fosse accaduto qualcosa, i ritardi nei soccorsi sarebbero stati eccessivi.

-Prima ero talmente esausta che non riuscivo più a ricordare che faccia hanno i miei figli!

Vuoi dire che ad un certo punto hai pensato qualcosa del tipo ma chi me l’ha fatto fare?

-per un attimo ci ho anche pensato, ti dico la verità. Ora però sto meglio, ma di sicuro domani avrò la schiena a pezzi..

Dai, domani ricorderai ben altro…

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Il Gosto ci chiama dicendo che ha trovato un buon posto e che ce lo sta tenendo. ci troviamo alla fine nel nostro posto definitivo, all’inizio della discesa nell’ovale alla destra del palco, proprio attaccati al famigerato ingresso imbucati del pit, con buona pace di chi si è fatto un mazzo tanto da giorni prima per esserci dentro. Alla fine siamo tutti e cinque riuniti, sempre più stretti perché la concentrazione umana sta aumentando. Entro qualche ora non si vedrà più un metro libero. Al solito, gente che arriva e ti si mette davanti, gente che si imbuca e gente che fa l’errore di mettersi davanti a Cesare mentre suonano i Counting Crows, dicendogli “ma che t’arrabbi a fare, che non è ancora cominciato”. Non a caso prima avevo parlato di pazienza quasi infinita. Quasi.
Quasi ci rimette il naso, il malcapitato, che si mette lesto lesto a sedere vista la mala parata.
Cominciamo ad essere un po’ stanchi, il sole non darà tregua fino al suo tramonto e vedere gente che continua ad imbucarsi nell’area pit, dove noi non siamo riusciti ad entrare, non è cosa simpatica.

Manca poco.

Eccoci.

C’era una volta il West.

Alla spicciolata entra tutta la E-Street Band. Entrano anche altri musicisti con strumenti a corda in mano.

Esce lui, nel boato della folla. Un mare di cuori rossi sventola nel pit.

Chitarra in spalla,guarda attonito lo spettacolo di noi nell’ovale, circondati dalle rovine della città eterna, in un tramonto da favola.

Ciao Roma!

.Lo schermo centrale riprende Roy Bittan al piano.

Due note.

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E tutto il mondo intorno a noi sparisce, assieme ai nostri problemi, lo stress, la fatica, la stanchezza, la sete, la fame.

Sorriso da paresi facciale stampato in faccia, occhi gonfi di lacrime dall’emozione, inebetiti da quella tempesta di bellezza che si sta abbattendo su di noi.

New York City Serenade.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’albero della vita

Hai presente il rumore che fa il passaggio di un dito sulla barba di un giorno? Tipo carta vetrata, solo  un poco più gentile. Non ci avevo mai fatto caso, prima di allora, ed avevo già 37 anni.

La sensazione di essere ormai  uomo, ma non uomo nel senso di virilità, nel senso di responsabilità,  anche se dentro non smetti mai di essere il solito bischero che gioca per le vecchie vie del paese, dietro ai primi amori.

Un uomo. Che grande parola. Che responsabilità. Che brutta cosa, da un certo punto di vista.

E dire che la mia vita non è stata – per ora –  quel che si può definire difficile; Jovanotti direbbe che sono un ragazzo fortunato. Anche quella volta che dovevo morire, lo dicevano al paese vicino sentendo le campane a morto, – devono essere per quel ragazzino che ha avuto un incidente in moto –  e invece no, non era ancora la mia campana. Se no non sarei diventato uomo.

Nella felicità interiore, nella soddisfazione, nella quasi totale mancanza di rimpianti che avevano riempito quei primi 37 anni – e quindi nella positività del bilancio, direbbe il Cialdo -, rientravano tutti quelli che mi stavano attorno.  Mamma Iliana, babbo Mario vulgo Claudio detto Il Doro (e questa è un’altra strana storia), mio fratello Pierfranco, Manola, la mia allora moglie. E poi il valore aggiunto della vita, quello che credo pochi possono dire di avere davvero, gli Amici, quelli veri.

 Quelli che magari non vedi per anni, ma è come se non ci fossimo mai separati. Quelli che ti vedi tutti i giorni ma hai sempre qualcosa di cui parlare. Quelli che ti cambiano la vita. Ma anche questa è un’altra storia.

 

 “D’accordo” – disse il Cialdo – “ho noleggiato un Ulysse, così viaggiamo tutti insieme”.

Fu veramente un’ottima idea per la possibilità di stare diverse ore assieme, possibilità che negli ultimi tempi era stata il lusso di poche altre volte.

Se non ci sei abituato, alzarsi alle cinque e mezza del mattino è abbastanza dura. Dopo no, assapori totalmente il nuovo giorno che nasce. Appuntamento alle sei e mezza a Lucca, ritrovo,caffè e partenza.

 

 L’ultima volta che ero stato in Francia era il1989, a Chalon sur Saone. Andavo a trovare il mio amico Franco, con Manola e la sua ragazza di allora, Chiara. Che viaggio, con l’auto del babbo, la pompa dell’acqua rotta e il riempimento del radiatore ogni cento km. Che palle. Però ricordo ancora la bellezza del centro storico di quella cittadina a nord di Lione, che dette i natali a Nicephore Niepce, l’inventore della fotografia, sottolineato con orgoglio tutto francese dalla statua in piazza e da un enorme cartello in pietra all’ingresso del paese. Ricordo la piccola casa della mamma di Franco, con il fratello Gianni – Jean, che sarebbe morto di lì a qualche anno in circostanza mai ben spiegate.

La ragazza di allora di Franco a quei tempi non mi era molto simpatica, ma qualcosa di speciale doveva per forza avere, avendo stregato prima di lui anche Mauri, che ancora ci rompeva i coglioni per quando gli frantumammo quella orrenda tazzina da caffè nera, ricordo della tipa e del suo amore perduto. Comunque tempo dopo ho avuto modo di conoscerla meglio e devo riconoscere che la prima impressione era proprio sbagliata.

Fu un bel viaggio, ancora da studenti, con pochi soldi in tasca ma anche con pochi pensieri – oh, è veramente così,eh! – e tanti ricordi. Ho ancora davanti agli occhi la foto che ritrae me e Franco che reinterpretiamo a modo nostro la Pietà di Michelangelo

 

 

Stavolta era diverso. Andavamo comunque a trovare Franco, ma era diverso. Una occasione per confrontarci di nuovo, come quando eravamo studenti perché, per fortuna, abbiamo e avremo sempre la capacità di metterci in discussione.

 Franco aveva una ragazza a Gaeta, quando arrivò a Pisa iscritto al I anno di Medicina Veterinaria, Giamile. “Significa ‘bella’ in greco”, diceva lui, significa bella stronza, dico io qualche tempo dopo, quando arriva a casa nostra in via Favilli piangendo perché lo aveva lasciato con una telefonata. Non si sarebbero più rivisti. Buffo il mondo.

Buffo il mondo, visti poi gli accadimenti che avrebbero rivoluzionato la vita di ognuno di noi negli anni a venire. Comunque allora eravamo tutti lì, in auto per andare a trovarlo. Sarebbe stato l’ultimo viaggio insieme per Maurizio e sua moglie Piera, poiché si sarebbero separati di lì a poco, per i motivi che fanno lasciare innumerevoli coppie ogni anno, l’incomunicabilità. Sarebbe poi toccato anche a me, alcuni anni dopo. Il Cialdo, così come Maurizio con la nuova compagna, diventerà invece padre di due bei bambini. Nelle non troppe volte che l’ho rivisto non mi è mai parso il ritratto della serenità, ma sicuramente ha trovato la sua dimensione. Lo spero per lui. Uh, che dire del Gosto, che per non so quale motivo ci ha sempre velatamente nascosto alcune parti della sua vita. Forse abbiamo peccato anche noi di comunicazione o forse ci vogliamo fare troppo i cazzi degli altri?

La seconda, la mejo è sempre la seconda.

Mancava solo l’autore di questa frase, Carlo il romano. Improvvisa influenza. Succede.

Carlo è stato un amico vero, ma il tempo in certi casi offusca cose e situazioni. Da quasi fratelli a quasi semplici conoscenti. Peccato. Ma tempo per rimediare ce n’è sempre.

Il viaggio prosegue spedito, con vari autisti che si alternano alla guida. Il Cialdo guida un po’ alla cazzo, ma nessuno glielo fa notare; i rilasci improvvisi dell’acceleratore fanno comunque sentire il loro peso sul centro del vomito. Comunque nessuno sporcherà i tappetini, per la fortuna dell’autonoleggio.

Passiamo in Francia. Traforo del Monte Bianco, breve sosta  – anche il Gosto piscia in compagnia! – e poi via, a 70 all’ora per i dieci-quindici chilometri del tunnel.

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La cerimonia è per le 16, dovremmo arrivare in tempo; se ritarderemo un po’ Franco ci perdonerà, è sempre stato abbastanza comprensivo con gli amici. Li ha sempre tenuti in grande considerazione, gli amici. Giusto tre mesi prima aveva fatto un grande tour per tutta l’Italia per salutarli tutti, quasi in incognito, senza dire a nessuno che ci sarebbe stata quella cerimonia che gli avrebbe cambiato la vita. Venne anche da me, con la sua ultima conquista, una romanina niente male. Non mi ricordo il nome, ma anche per lui non doveva essere troppo importante; tutt’altra cosa Isabella, la ragazza che alla fine gli era sempre accanto, e che infatti avremmo ritrovato proprio alla cerimonia. Una cara ragazza, pensavamo tutti che alla fine sarebbe stata la donna della vita di Franco. Cosa che poi fu.

Si parla del più e del meno, la meta si avvicina. Passiamo Lione. Cento km e ci siamo. Dai che siamo in orario. Franco, arriviamo!

 

Chalon sur Saone. La ricordavo bene. Solo stavolta, complice la pioggerellina invernale ed il cielo plumbeo, un po’ triste. Raggiungiamo la chiesa dove sta per svolgersi la cerimonia. Un po’ di parenti, altri amici arrivati con altri mezzi. Arriva anche Franco, finalmente, accompagnato dalla mamma e da Isabella. Isabella, la donna della sua vita, nel bene e nel male.

 

La chiesa si riempie, arriva il sacerdote che inizia un piccolo gioco. Si devono accendere delle candele sull’albero della vita, una per gli amici, una per la madre, una per i fratelli, una per i parenti. Un rappresentante di ognuno viene sul pulpito a parlare a Franco e a dirgli cosa ha significato per lui. Franco ascolta tutti, la cerimonia è commovente perché vera, la partecipazione massima. Che differenza con le cerimonie cattoliche italiane!

Franck,je t’aime!

Così grida, alla conclusione del suo discorso, l’altro fratello, quello rimasto in vita dopo la morte di Jean.

Commozione. Franco è commosso, si sente. Tutti lo siamo e non potrebbe essere altrimenti.

Finisce la cerimonia. Tutti in fila, si va verso l’altare per il saluto, mi avvicino, lo tocco. Tocco il cartellino metallico con su scritto Franck Capotosto, 1967-2002.

E inizio a piangere.

 

 

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Post Scriptum

Franco Capotosto è un amico fraterno che se ne è andato a soli 35 anni il 31 dicembre del 2002.

Questa è la storia del viaggio intrapreso da noi amici verso il suo paese natio

Chalon sur Saone, il 3 gennaio 2003, giorno del suo funerale.

Sono passati già dieci anni e questo è il mio modo di tenerlo ancora vivo.

Grazie a chi contribuirà a tenerlo nel proprio cuore.

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