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Il mojito perfetto

Il blog di Claudio Stefanini – bestemmie letterarie aperiodiche: scrivono tutti, perché non dovrei farlo io?

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Palla Avvelenata

Molto, molto tempo fa, nella Contea di Agrab la vita scorreva placida e tranquilla.
Sotto il controllo dei Conti Iccucram i sudditi del borgo  principale, nomato curiosamente come la Contea, vivevano una vita agiata e priva di problemi.
O quasi.
La Contea di Agrab si trovava nella Valle di Mezzo, che ospitava anche  la Contea del Cangallo e il Granducato di Ciuconia, la cui capitale era il borgo montano di Coraglia.
Le caste nobiliari erano nel diritto di possedere territori tanto più vasti quanto maggiore fosse l’importanza del titolo stesso, comprensivi del loro contenuto in cuori battenti: animali ed esseri umani. Questi ultimi erano trattati con assoluta benevolenza, come il buon padre di famiglia fa col figlio. Molto tempo dopo, il concetto del pater familias sarebbe entrata in un famoso libro intitolato “Codice Civile”, ma questa è un’altra storia.

Per mantenere l’ordine nei loro territori, perché si sa che non tutte le ciambelle riescono col buco e in verità ogni tanto qualche protesta -insensata!- si levava, i lungimiranti Conti Iccucram inventarono le caste sociali.
Gli Agrabei vennero suddivisi in Giovani e Vecchi. Tra i Giovani e i Vecchi introdussero altre due caste, i Grigi e i Genitori.
Curiosamente le caste sociali agrabee erano strutturate in maniera tale che a maggior quantità di vita residua corrispondevano maggiori diritti: ne conveniva che i Giovani erano quelli con più diritti ed i Vecchi quelli con meno.
Per Diritti si intendeva il Diritto di Vivere, il Diritto allo Studio, il Diritto ad avere un Buon Lavoro, il Diritto alla Salute, il Diritto di Non Fare un Cazzo, il Diritto di Rompere i Coglioni.
Inutile a dirsi che i Giovani partivano molto avvantaggiati.
I Grigi erano quella fascia di popolazione che possedevano diritti intermedi rispetto agli altri ed avevano il compito molto importante di far funzionare la Contea dirimendo questioni ed eventuali scontri tra Giovani e Vecchi.
I Genitori erano dei Grigi che possedevano Giovani in casa. L’oggettività non era il loro miglior pregio.
Ad Agrab per mantenere l’ordine esisteva un corpo scelto di Grigi, maschi e femmine perché già allora erano avanti e non facevano distinzioni in base al gender, detti Vigilanti Urbanici. I Vigilanti Urbanici rispondevano agli ordini del Podestà locale, il Signor Inobin, il quale poi riferiva ai Conti Iccucram che tutto andasse bene all’interno del territorio da loro controllato.
La pena nel caso qualcosa fosse andato storto era la detronizzazione del Podestà. Era già accaduto più volte in passato, poco prima col Dottor Erisen, a cui fu poi preferito Inobin anche per far vedere che i Conti erano a modo loro molto democratici.
Il Signor Inobin non aveva vita facile. In molti avrebbero goduto delle sue eventuali sconfitte, per cui doveva sempre guardarsi le spalle dai Nemici dell’Ordine Precostituito.
Due di essi erano davvero temibili.
Uno era l’aniopontino Acul detto il Mastro, acerrimo nemico politico con nascoste volontà, un giorno, di rubargli la poltrona (eh si, anche allora certi vizi erano già presenti).
L’altro era il più temibile, un Grande Grigio Orco Cattivo che avrebbe voluto e potuto mangiarsi il mite Inobin a colazione, tra un caffé ed una crostata.
Il suo nome era Pablo il Giannizzero e tutti lo guardavano con un misto di paura e rispetto. Era così conosciuto anche al di fuori della Valle di Mezzo che molto tempo dopo gli amèrici della Dreamworks lo presero come riferimento per la saga di Shrek.

A quel tempo le persone avevano ideato , per discutere democraticamente tra di loro,  un sistema intelligente che permetteva di parlare a tutti e con tutti anche se nel momento in cui lo si faceva si era da soli. All’interno di ogni Contea, Regno o Granducato era allestita una grande stanza con molte postazioni a sedere ed una grandissima bacheca in sughero, alla quale i sudditi di ogni età appendevano i loro messaggi, pensieri, elucubrazioni, accuse, difese, frustrazioni, disegni di ciò che avevano mangiato o dei loro animali, loro autoritratti e chi più ne ha più ne metta.
I Conti Iccucram rifornivano giornalmente il luogo di adeguate quantità di fogli di carta, penne, calamai e matite colorate affinché i sudditi avessero sempre tutto a disposizione.
Avevano chiamato questo luogo “La Vostra Faccia sul Grande Libro” e presto divenne consuetudine chiamarlo così anche nelle contee vicine, con appositi messaggeri che andavano e venivano da quei luoghi per portare le comunicazioni delle persone lontane che volevano stare in contatto tra loro.
I messaggeri sarebbero poi diventati i Pony Express della selvaggia Amèrica, mentre l’idea della faccia sul grande libro fu ripresa ancor più tardi da un oscuro Giovane americano che riuscì a far moneta sonante con quella invenzione.
Il suo nome aveva a che fare con le zucche.
Gli Amèrici hanno questa grande tradizione di copiare le idee agli italici. Accadde anche con il telefono.

In ogni caso, “La Vostra Faccia sul Grande Libro” -popolarmente poi chiamato da tutti FacciaLibro–  diventò da lì a poco il modo principale di comunicazione dei sudditi di tutta la Valle di Mezzo. Non occorreva neppure più incontrarsi, darsi appuntamenti, andare nei protobar a bersi qualcosa in compagnia: bastava recarsi a FacciaLibro ogni qual volta si sentisse la necessità di dire qualcosa a qualcuno. Funzionava così bene che anche se per caso si incontrava quel qualcuno, non era più necessario colloquiarci, poiché ciò che gli si voleva dire era tutto scritto a FacciaLibro. Un messo della Contea era addetto a controllare il flusso delle discussioni ed a censurare eventuali esagerazioni.
Il messo non era molto attento ed era anche un po’ bigotto. Se qualcuno lasciava –buontempone!- il disegno di qualcuno come mamma ci ha fatto, ecco che subito cancellava le pudenda avvertendo il disegnatore che la sua opera non era allineata agli standard della comunità.
Le offese personali ed anche le belle illustrazioni raffiguranti dolore, esecuzioni di pene capitali, delitti efferati, protobullismo e minacce di ogni tipo erano invece sempre ben accette, come insegna ogni società avanzata che si rispetti.

La vita scorreva ancora tranquilla. I Giovani esercitavano i loro Diritti, i Grigi controllavano, i Vecchi non rompevano troppo i coglioni e per fortuna spesso morivano. Non c’è miglior modo di non rompere i coglioni se si è morti.
Ah, i Genitori esercitavano il loro controllo sui Giovani. Nel senso che li ammiravano a tal punto che per loro ogni cosa che facevano era giusta. D’altronde, il Diritto era dalla loro parte!

Dovete sapere, cari lettori, che ad Agrab, oltre a FacciaLibro esistevano alcuni punti di aggregazione ove i sudditi potevano liberamente incontrarsi per parlare, discutere, perfino giocare. C’era il Parco del Futuro Presidente Amerìcio, dove i Giovani Giovani potevano giocare ed i Genitori parlare tra loro, c’erano i Campi da PallaCorda, dove i Grigi volentieri si intrattenevano per far vedere quanto più bravi erano degli altri e, perché no, per mostrarsi e poter incontrare delle Giovani o delle Grigie onde poter poi, mediante un rituale detto dell’Accoppiamento, produrre nuovi Giovani per la Contea.
C’erano le Chiese, dove tutti potevano incontrarsi e professare le proprie religioni: il Cattolicesimo, il Cattolicesimo ed il Cattolicesimo. L’apertura mentale di un popolo si vede anche dalle piccole cose.
Infine vi era l’OrtoFiorito.
Una volta al centro del borgo c’era una storica piazza con un grande spazio verde e molti alberi, vanto degli abitanti  ancor  prima dell’avvento al potere dei Conti Iccucram. Alcune iscrizioni su pietra recentemente ritrovate farebbero risalire la prima costruzione della piazza ad un certo Padre Ruggio, il fondatore del paese.  Dopo anni di discussioni che videro protagonisti il mite Inobin, il Mastro e diversi altri Grigi sapienti, non senza aspri litigi ed amicizie finite, fu dato un nuovo volto alla  Piazza che, anche se non aveva più l’orto fiorito alla fine dei lavori, mantenne per tradizione l’antica denominazione.
In verità la nuova piazza era molto funzionale. Fu deciso che vi fosse una grande area centrale elegantemente ricoperta in travertino, circondata da belle panche dove tutti potessero sedersi e chiacchierare per poter usare a volte solo la faccia e non anche il libro (eh si, l’area FacciaLibro aveva un po’ preso la mano agli abitanti di Agrab).
Naturalmente il nuovo volto della piazza non piacque a tutti.
I Giovani furono entusiasti, in quanto videro in essa un nuovo luogo in cui giocare. Ne avevano il Diritto.
I Grigi erano divisi, a qualcuno piaceva, ad altri no.
I Vecchi, compatti, rifiutarono anche solo l’idea di quella piazza così scarna rispetto al passato. “Era meglio prima”,”Che schifo”,”E’ tutto un magna magna”, “Gombloddo!1!!” e “Piove,governo ladro” i commenti più frequenti. Ma i Vecchi ad Agrab non avevano il Diritto di rompere i coglioni, per cui nessuno si prese carico delle loro inutili proteste.

I Giovani invece ebbero la grande idea, per ravvivare le noiose giornate agrabee, di indire un torneo di Palla Calciata, il gioco che andava per la maggiore da quelle parti.
Le regole erano semplici. Due squadre di un numero imprecisato di Giocanti, tutti Giovani, due porte (aperte) ed una palla rotonda, da toccare solo con i piedi. Vinceva chi faceva più centri nella porta avversaria. La figura dell’arbitro e la regola del fuorigioco sarebbero arrivati solo più tardi, anche se nessuno ad oggi ha ancora capito a cosa servono. Sia l’uno che l’altra.
I Grigi potevano fare gli spettatori-controllori se erano anche Genitori. I Genitori erano contenti di saperli giocare nell’ OrtoFiorito, poiché essendo il fondo di travertino, i loro Giovani non potevano tornare a casa sporchi di fango o di erba. Al limite un po’ sbucciati.
Il campo di Palla Calciata era quindi delimitato dal perimetro delle panche della piazza.
Poco importava se quelle panche erano spesso abitate da Vecchi che le usavano per le ultime chiacchiere tra loro -è notorio che i Vecchi e i Giovani non debbano parlarsi, non sta bene-, oppure per scaldarsi un po’ al sole o leggere qualche protorivista: Novella Mille, la Domenica del Messaggero, la Gazzetta del Calciante le più lette dell’epoca.

Gli allenamenti in vista del torneo erano numerosi. Era difficile trovare la piazza sgombra, a meno che non piovesse. Come effetto collaterale di cotanta baldanza iniziarono ad esserci dei piccoli episodi in cui i Vecchi protestavano con i Giovani calcianti per i rumori, le urla che non li facevano riposare ed anche per qualche calciopallata che ogni tanto li sfiorava o li colpiva di striscio.

Ma fino ad allora le proteste si limitarono all’invettiva (citazione colta).

A dire il vero qualche malumore era arrivato nelle stanze di FacciaLibro. Qualche Grigio iniziò a calpestare i Diritti dei Giovani dicendo che forse era il caso di mettere un freno alla baldanza dei calcianti perché qualcuno avrebbe potuto farsi molto male.
Il più inviperito di tutti era Pablo il Giannizzero, Grigio e Genitore. Un comportamento inusuale che lasciava perplessi tutti gli altri Genitori.
“Ma come, anche tu hai figli e non comprendi che devono divertirsi come più a loro pare e piace? Sei sempre il solito esagerato, cosa vuoi che accada! da che mondo è mondo, i Giovani hanno sempre giocato a Palla Calciata nelle piazze! Sei un cretino! Vaffanculo!” i migliori commenti che gli altri lasciavano a Pablo a FacciaLibro.

Già, perché Pablo era anche piuttosto grosso, molto meglio dirglielo a FacciaLibro, perché direttamente in faccia poteva anche essere pericoloso. Aveva fama di essere cattivo se lo facevano arrabbiare, ma FacciaLibro era comodo anche per questi motivi, puoi dire ciò che vuoi ad una persona, tanto quella in quel momento non c’è!
Pablo aveva anche tentato di contattare i Vigilanti Urbanici che a dire il vero in un paio di occasioni erano anche intervenuti sequestrando (vergogna!!) la calciopalla della discordia.
Logicamente le  veementi proteste dei Genitori verso i Vigilanti sortirono il giusto effetto e la calciopalla fu restituita in entrambe le occasioni. E ci sarebbe mancato altro, quando mai si è visto che un Tutore dellOrdine conti più di un Genitore Incazzato?
Il mite Inobin tentava, in tutto questo, di trovare un equilibrio. Anche Pablo il Giannizzero, pur strano che fosse, era pur sempre un elettore.

Poi accadde un fatto. Durante una concitata fase di gioco un colpo di cannon… ehm una calciopallonata ad elevatissima velocità colpì in pieno viso una Vecchia, facendola rovinare sul selciato.

Ora, cosa ci facesse una Vecchia lungo la traiettoria della calciopalla lo sapeva solo lei.
In segno di protesta per aver rovinato la partita, i Giovani giocanti giustamente arrabbiati con la Vecchia Elsa se ne andarono quasi tutti, di corsa per giunta. Quasi tutti.
I Grigi spettatori, per un gioco di riflessi del sole, non avevano visto niente, tanto meno chi avesse calciato la cannonata fatale.
Nel frattempo la Vecchia Elsa continuava ad essere stesa sul selciato e qualcuno, non si sa chi, aveva chiamato i soccorsi.
Solo il Giovane rimasto a guardare, Robertino detto il Bischero, probabilmente non ben consigliato dagli altri si avvicinò alla Vecchia offrendole un fazzoletto e prestandole i primi soccorsi.

Anche se era una Vecchia, dei Diritti residui li aveva. Arrivati i barellieri, notarono che i suoi vetri da vista erano stati disintegrati dal colpo e che aveva pure bisogno del Biosarto per ricucirgli parte della bocca ed anche di un paio di denti nuovi. Lavoro assicurato anche per il Rimandibolatore. Tanto la Vecchia qualche soldo da parte ce lo aveva di sicuro, che se li doveva portare nella tomba?

Nei giorni successivi a FacciaLibro non si parlava di altro. Pablo richiedeva a gran voce l’intervento delle Autorità, minacciando pure il mite Inobin e i Vigilanti se non avessero proibito il gioco della Palla Calciata nell’ OrtoFiorito.
Contro di lui tutti gli altri, a partire dai Genitori dei calcianti, che ribadivano come fosse tradizione giocare in piazza e di come una calciopallata non avesse mai ammazzato nessuno.
“Quel che non ammazza ingrassa!” dicevano. Elsa in effetti non era morta e pesava 43 kg, per cui alla fine avrebbe anche dovuto ringraziare il cecchino.
L’accesa discussione verteva alla fine su quanto fosse poco allineato Pablo con gli altri Genitori. anche i Grigi erano compatti contro di lui. Che diamine, è stata colpita una inutile Vecchia, mica un baldo Giovane, speranza per il futuro!

Nessun Genitore andò a vedere come stesse Elsa.
Nessuno andò a chiederle scusa, né direttamente né a nome di qualcuno. Colpa sua, se passava di lì proprio durante la partita!
Nessuno si fece carico di rifonderle i danni subiti.
Nessuno emise ordinanze limitative al gioco della Palla Calciata.

Nulla era successo. Era solo una Vecchia. 

 

ortofiorito (1)

La Piazza dell’ OrtoFiorito in una rara illustrazione dell’epoca

Anormalità

Vedo Monti alla tv che dice che per lui la famiglia è solo quella formata da un uomo e una donna. Lunedì sentivo un certo Riccardoqualchecosa su radio maria (per caso,zappando tra un canale e l’altro,solo perché ho sentito una voce diversa da quel patetico prete che parla sempre lui) che affermava che nessuno può arrogarsi il diritto di andare contro il “diritto naturale” (sic) dato da dio che vede un uomo e una donna alla base della famiglia e che i paesi che hanno optato per una politica più libertaria (parole sue) come la Spagna e la Francia avranno ripercussioni, come stanno avendo, anche di ordine economico proprio per questa ragione. Ora dico io, ma siamo tutti impazziti? siamo comandati da mummie morenti, da zombie che ci dicono come dovremmo comportarci e che non vogliono dare a chi volesse formare una famiglia e non ha “gusti” sessuali *convenzionali* alcun diritto civile,come anche la sola ereditarietà per il coniuge, il diritto di visita ad un cazzo di ospedale perché se non sei parente o legalmente legato non ti fanno passare neanche se stai morendo, o tutto ciò che gira intorno ad una unione stabile, non ultimo il diritto di adozione di un figlio:
il fondamento di una famiglia non è avere uno il cazzo el’altra la fica, non è quello, il fondamento unico è l’amore, oltre che la fiducia e la volontà di stare assieme che legano due persone, solo quello dovrebbe essere considerato sufficiente per rendere possibile l’unione legale tra due persone con tutti i benefici civili che ne conseguono. E se sono religiosi hanno il diritto di poter seguire la propria confessione senza essere additati dai soliti come diversi e deviati. I deviati sono solo coloro che pensano che i deviati siano gli altri.
Benpensanti, non abbiate paura dei finocchi,delle lesbiche e dei transgender, nessuno di loro vi inculerà a tradimento, perché di solito sono molto più intelligenti di voi e non pensano, al contrario di voi, che chi è diverso pensi solo a quelle cose lì. Però una cosa la pensano, e non solo loro. Gli unici diversi siete voi, e in quanto tali è di voi che si deve aver paura.

L’albero della vita

Hai presente il rumore che fa il passaggio di un dito sulla barba di un giorno? Tipo carta vetrata, solo  un poco più gentile. Non ci avevo mai fatto caso, prima di allora, ed avevo già 37 anni.

La sensazione di essere ormai  uomo, ma non uomo nel senso di virilità, nel senso di responsabilità,  anche se dentro non smetti mai di essere il solito bischero che gioca per le vecchie vie del paese, dietro ai primi amori.

Un uomo. Che grande parola. Che responsabilità. Che brutta cosa, da un certo punto di vista.

E dire che la mia vita non è stata – per ora –  quel che si può definire difficile; Jovanotti direbbe che sono un ragazzo fortunato. Anche quella volta che dovevo morire, lo dicevano al paese vicino sentendo le campane a morto, – devono essere per quel ragazzino che ha avuto un incidente in moto –  e invece no, non era ancora la mia campana. Se no non sarei diventato uomo.

Nella felicità interiore, nella soddisfazione, nella quasi totale mancanza di rimpianti che avevano riempito quei primi 37 anni – e quindi nella positività del bilancio, direbbe il Cialdo -, rientravano tutti quelli che mi stavano attorno.  Mamma Iliana, babbo Mario vulgo Claudio detto Il Doro (e questa è un’altra strana storia), mio fratello Pierfranco, Manola, la mia allora moglie. E poi il valore aggiunto della vita, quello che credo pochi possono dire di avere davvero, gli Amici, quelli veri.

 Quelli che magari non vedi per anni, ma è come se non ci fossimo mai separati. Quelli che ti vedi tutti i giorni ma hai sempre qualcosa di cui parlare. Quelli che ti cambiano la vita. Ma anche questa è un’altra storia.

 

 “D’accordo” – disse il Cialdo – “ho noleggiato un Ulysse, così viaggiamo tutti insieme”.

Fu veramente un’ottima idea per la possibilità di stare diverse ore assieme, possibilità che negli ultimi tempi era stata il lusso di poche altre volte.

Se non ci sei abituato, alzarsi alle cinque e mezza del mattino è abbastanza dura. Dopo no, assapori totalmente il nuovo giorno che nasce. Appuntamento alle sei e mezza a Lucca, ritrovo,caffè e partenza.

 

 L’ultima volta che ero stato in Francia era il1989, a Chalon sur Saone. Andavo a trovare il mio amico Franco, con Manola e la sua ragazza di allora, Chiara. Che viaggio, con l’auto del babbo, la pompa dell’acqua rotta e il riempimento del radiatore ogni cento km. Che palle. Però ricordo ancora la bellezza del centro storico di quella cittadina a nord di Lione, che dette i natali a Nicephore Niepce, l’inventore della fotografia, sottolineato con orgoglio tutto francese dalla statua in piazza e da un enorme cartello in pietra all’ingresso del paese. Ricordo la piccola casa della mamma di Franco, con il fratello Gianni – Jean, che sarebbe morto di lì a qualche anno in circostanza mai ben spiegate.

La ragazza di allora di Franco a quei tempi non mi era molto simpatica, ma qualcosa di speciale doveva per forza avere, avendo stregato prima di lui anche Mauri, che ancora ci rompeva i coglioni per quando gli frantumammo quella orrenda tazzina da caffè nera, ricordo della tipa e del suo amore perduto. Comunque tempo dopo ho avuto modo di conoscerla meglio e devo riconoscere che la prima impressione era proprio sbagliata.

Fu un bel viaggio, ancora da studenti, con pochi soldi in tasca ma anche con pochi pensieri – oh, è veramente così,eh! – e tanti ricordi. Ho ancora davanti agli occhi la foto che ritrae me e Franco che reinterpretiamo a modo nostro la Pietà di Michelangelo

 

 

Stavolta era diverso. Andavamo comunque a trovare Franco, ma era diverso. Una occasione per confrontarci di nuovo, come quando eravamo studenti perché, per fortuna, abbiamo e avremo sempre la capacità di metterci in discussione.

 Franco aveva una ragazza a Gaeta, quando arrivò a Pisa iscritto al I anno di Medicina Veterinaria, Giamile. “Significa ‘bella’ in greco”, diceva lui, significa bella stronza, dico io qualche tempo dopo, quando arriva a casa nostra in via Favilli piangendo perché lo aveva lasciato con una telefonata. Non si sarebbero più rivisti. Buffo il mondo.

Buffo il mondo, visti poi gli accadimenti che avrebbero rivoluzionato la vita di ognuno di noi negli anni a venire. Comunque allora eravamo tutti lì, in auto per andare a trovarlo. Sarebbe stato l’ultimo viaggio insieme per Maurizio e sua moglie Piera, poiché si sarebbero separati di lì a poco, per i motivi che fanno lasciare innumerevoli coppie ogni anno, l’incomunicabilità. Sarebbe poi toccato anche a me, alcuni anni dopo. Il Cialdo, così come Maurizio con la nuova compagna, diventerà invece padre di due bei bambini. Nelle non troppe volte che l’ho rivisto non mi è mai parso il ritratto della serenità, ma sicuramente ha trovato la sua dimensione. Lo spero per lui. Uh, che dire del Gosto, che per non so quale motivo ci ha sempre velatamente nascosto alcune parti della sua vita. Forse abbiamo peccato anche noi di comunicazione o forse ci vogliamo fare troppo i cazzi degli altri?

La seconda, la mejo è sempre la seconda.

Mancava solo l’autore di questa frase, Carlo il romano. Improvvisa influenza. Succede.

Carlo è stato un amico vero, ma il tempo in certi casi offusca cose e situazioni. Da quasi fratelli a quasi semplici conoscenti. Peccato. Ma tempo per rimediare ce n’è sempre.

Il viaggio prosegue spedito, con vari autisti che si alternano alla guida. Il Cialdo guida un po’ alla cazzo, ma nessuno glielo fa notare; i rilasci improvvisi dell’acceleratore fanno comunque sentire il loro peso sul centro del vomito. Comunque nessuno sporcherà i tappetini, per la fortuna dell’autonoleggio.

Passiamo in Francia. Traforo del Monte Bianco, breve sosta  – anche il Gosto piscia in compagnia! – e poi via, a 70 all’ora per i dieci-quindici chilometri del tunnel.

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La cerimonia è per le 16, dovremmo arrivare in tempo; se ritarderemo un po’ Franco ci perdonerà, è sempre stato abbastanza comprensivo con gli amici. Li ha sempre tenuti in grande considerazione, gli amici. Giusto tre mesi prima aveva fatto un grande tour per tutta l’Italia per salutarli tutti, quasi in incognito, senza dire a nessuno che ci sarebbe stata quella cerimonia che gli avrebbe cambiato la vita. Venne anche da me, con la sua ultima conquista, una romanina niente male. Non mi ricordo il nome, ma anche per lui non doveva essere troppo importante; tutt’altra cosa Isabella, la ragazza che alla fine gli era sempre accanto, e che infatti avremmo ritrovato proprio alla cerimonia. Una cara ragazza, pensavamo tutti che alla fine sarebbe stata la donna della vita di Franco. Cosa che poi fu.

Si parla del più e del meno, la meta si avvicina. Passiamo Lione. Cento km e ci siamo. Dai che siamo in orario. Franco, arriviamo!

 

Chalon sur Saone. La ricordavo bene. Solo stavolta, complice la pioggerellina invernale ed il cielo plumbeo, un po’ triste. Raggiungiamo la chiesa dove sta per svolgersi la cerimonia. Un po’ di parenti, altri amici arrivati con altri mezzi. Arriva anche Franco, finalmente, accompagnato dalla mamma e da Isabella. Isabella, la donna della sua vita, nel bene e nel male.

 

La chiesa si riempie, arriva il sacerdote che inizia un piccolo gioco. Si devono accendere delle candele sull’albero della vita, una per gli amici, una per la madre, una per i fratelli, una per i parenti. Un rappresentante di ognuno viene sul pulpito a parlare a Franco e a dirgli cosa ha significato per lui. Franco ascolta tutti, la cerimonia è commovente perché vera, la partecipazione massima. Che differenza con le cerimonie cattoliche italiane!

Franck,je t’aime!

Così grida, alla conclusione del suo discorso, l’altro fratello, quello rimasto in vita dopo la morte di Jean.

Commozione. Franco è commosso, si sente. Tutti lo siamo e non potrebbe essere altrimenti.

Finisce la cerimonia. Tutti in fila, si va verso l’altare per il saluto, mi avvicino, lo tocco. Tocco il cartellino metallico con su scritto Franck Capotosto, 1967-2002.

E inizio a piangere.

 

 

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Post Scriptum

Franco Capotosto è un amico fraterno che se ne è andato a soli 35 anni il 31 dicembre del 2002.

Questa è la storia del viaggio intrapreso da noi amici verso il suo paese natio

Chalon sur Saone, il 3 gennaio 2003, giorno del suo funerale.

Sono passati già dieci anni e questo è il mio modo di tenerlo ancora vivo.

Grazie a chi contribuirà a tenerlo nel proprio cuore.

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