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Il mojito perfetto

Il blog di Claudio Stefanini – bestemmie letterarie aperiodiche: scrivono tutti, perché non dovrei farlo io?

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pensieri

Avincola canta Carella

Avincola? e chi è?

Carella? e che è?

Simone Avincola è musicista, autore, cantautore, regista e molto altro. Ha grandissima cultura musicale, cosa rara di questi tempi. Ha coraggio. Simone Avincola è un eroe moderno.

Oltre alla sua personale ed interessante produzione ha all’attivo almeno un Sanremo, -la Vetrina d’Italia- così come l’altro nostro eroe, Enzo Carella. Ma come si dice, questa è un’altra storia.

Quattro gli album all’attivo, cinque con il qui presente Avincola canta Carella.

Collaborazioni importanti quali quelle con Morgan (altro artista sempre Altrove con la testa) in StraMorgan ed in sala d’incisione, Pasquale Panella -si, quel Panella-, che lo ha e ci ha deliziati scrivendo per lui un pezzo surreale quale Barrì. E poi Fiorello, Freak Antoni (!!!), Riccardo Sinigallia.

Attività come regista di un docufilm su Stefano Rosso, che i più attenti ricorderanno almeno per E allora Senti Cosa Fò, Una Storia Disonesta e Letto 26.

Enzo Carella è stato un musicista e cantautore posizionato tra i cinque più importanti della canzone italiana secondo diversi addetti ai lavori, ma anche il più sconosciuto, il più rimasto quasi sempre nell’ombra a parte la parentesi sanremese con Barbara, con la quale arrivò al grande pubblico, me compreso.

A proposito di parentesi, quel Sanremo 1979 sembrò proprio la temporanea rivincita degli sconosciuti, il quarto d’ora di celebrità di warholiana memoria e non certo per mancanza di talenti, ma per eccesso degli stessi solo poco classificabili ed inquadrabili da parte della massa e dei media. Enzo arrivò secondo, pare proprio per uno dei soliti magheggi sanremesi che gli soffiarono la vittoria finale in favore di Mino Vergnaghi con Amare, buon pezzo piuttosto classico, che venne ben presto dimenticato mentre lui ha continuato a lavorare come autore (tra gli altri è coautore di Diamante di Zucchero). C’erano anche i Pandemonium con Tu Fai Schifo Sempre, I Camaleonti, I Collage, Ciro Sebastianelli, Kim & The Cadillacs (si, loro) ma soprattutto l’altro grande incompreso, l’onirico, strampalato, surreale Franco Fanigliulo che ebbe destino simile, nella vita ed artisticamente, al nostro Enzo. A Me Mi Piace Vivere Alla Grande, a chi non piacerebbe? A Franco ed Enzo sarebbe piaciuto, ma solo a modo loro.

Chiudiamo la parentesi Sanremo1979, che è meglio. C’era un tale fermento che davvero fa pensare.

Enzo (Vincenzo) Carella (1952-2017). 

mi ricordo di quando lo cercavo per conoscerlo, dopo aver scoperto che era sempre vivo, nel 1995, nonostante fosse uscito col suo De Carellis che suonava un pò come un de profundis. Ai tempi in cui c’erano solo gli elenchi telefonici, c’era un solo Vincenzo Carella, su Roma. Non ho mai avuto il coraggio di comporre quel numero. Era lui, ma lo avrei conosciuto solo diversi anni dopo, intorno al 2006.

Ci vorrebbe un trattato per disquisire su cosa abbia apportato alla musica italiana Enzo…ehi ma c’è! non proprio un trattato, ma un libro in forma di interviste ad amici, discografici e musicisti che finalmente spiega a chi non c’era o era distratto -“il pubblico dorme e io sono il suo pesce”-  chi egli fosse: Dolce Tu Per Tu, curato, fortemente voluto e fatto dal nostro Eroe Avincola ed uscito proprio il 13 settembre 2025, assieme alla uscita dell’album protagonista di questa storia nonché del concerto evento dedicato tenutosi a Roma. Se volete conoscere Enzo e diventarne amici, capire cosa sia un artista senza compromessi ma anche un uomo fragile e sensibile, leggete il libro.

Un certo Lucio Battisti si meravigliò all’ascolto di Fosse Vero o Malamore, tanto da avere dubbi che fosse un brano italiano e da chiedere chi fossero cantante ed autore, per poi iniziare la seconda fase della sua carriera artistica proprio con lo stesso paroliere, Pasquale Panella.

Musicista dotatissimo, innato senso del ritmo e della melodia, inventore dei suoi pezzi apparentemente semplici ma molto complessi da eseguire. Visionario, sognatore, surreale. Unico nel suo genere, nel bene e nel male. Amico di tutti, non faceva però entrare nessuno nei meandri più profondi del suo mondo.

È andata così.

La sua maledizione? essere sempre troppo avanti rispetto ai tempi. Al di là delle mode, al di là di tutto lui voleva fare la sua musica. No collaborazioni, pochissimi live perché era timido o perché una volta registrata la sua musica per lui era conclusa. Voleva lavorare sempre con gli stessi musicisti perché erano gli unici che lo capivano al volo, che facevano uscire i suoni come voleva lui: “la tua chitarre deve fare crè crè”, e il chitarrista doveva capire cosa intendesse, un po’ come Lennon quando chiese a George Martin, durante le riprese di Being for the Benefit of Mr Kite, che i suoi arrangiamenti dovevano odorare di circo e segatura. 

Avrò cura di parlare di Enzo con maggior profondità e lunghezza in un’altra occasione.

Per chi non lo conosce ancora, per chi non conosce Avincola, ecco l’occasione per conoscerli tutti e due.

Avincola ed i suoi musicisti hanno raccolto in un album l’essenzialità e la profondità di Enzo, inserendo anche alcuni dei pezzi meno conosciuti tra i quasi sconosciuti, per un viaggio incredibilmente ricco nel mondo Carella-Panella.

Il miracolo dei nuovi arrangiamenti che però non tradiscono lo spirito degli originali è avvenuto. 

Funk, rock, reggae ed anche a tratti jazz si mescolano e danno nuova linfa a pezzi senza tempo, con la voce particolare di Simone ed anche di Mille, Anna Castiglia, Dente e Ciliari in alcuni brani. Musicisti d’eccezione Edoardo Petretti, Toto Giornelli e Luca Monaldi oltre a Simone stesso.

Si parte con l’effetto puntina-su-disco che apre e chiude l’album ed è subito Fosse vero, seguita da Malamore in salsa reggae davvero sorprendente,dal primo disco Vocazione

Carmé, Foto, Amara, Parigi (un gioiello) e Barbara dal secondo album Barbara e Altri Carella. Questa nuova Barbara ricorda l’incipit  di tastiera di Jump dei Van Halen, ma offre poi ben di più.

Mare Sopra e Sotto, da Sfinge, superbamente reinterpretata in chiave semiacustica.

L’Occhio Nero e My Baby is Back, da De Carellis. Esplosiva l’una sorniona l’altra. 

Partire, da Se Non Cantassi Sarei Nessuno. Pregevole.

Il trittico finale viene dall’ultimo album di Enzo, Ahoh Yè Nanà, del 2007. Trovo queste ultime tre eccezionali:

Lavorare No, il philly sound la fa da padrone, sembra che sotto ci siano i MFSB al gran completo.

Oggi Non è Domani, sull’importanza di vivere il momento. Finale a chiosa del disco, tutto da ascoltare.

Ma la vera sorpresa è l’ultimo pezzo, tra i meno conosciuti dell’album: Banalità, restituito in una veste nuova che riflette ancor più lo spirito carelliano. Capolavoro.

…che banalità non è ma è l’essenza di Enzo Carella, la canzone va, diventa qualcosa che tu vuoi, vola e poi torna al cuore. 

Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, anche solo a distanza, ed io sono tra quelli, può sentire che qui dentro Enzo è vivo e vola ancora assieme a chi vuol volare con lui.

(Ri)scopritelo. Letteralmente ogni sua canzone è una perla.

E dite grazie a Simone Avincola

Avincola canta Carella

31 dicembre 2022

31 dicembre 2022, da qualche parte sulla Terra

Son vent’anni che sei ito, son vent’anni che non sei più tra noi.

Noi cioè io, il Cialdo, il Mozzo, Mauri, il Gosto, Dario e tutti gli altri che ti hanno vissuto.

Però oggi parliamo solo di noi sei, che abbiamo percorso  e ancora stiamo percorrendo un pezzo di vita assieme.

Con coraggio -perché si deve- e con leggerezza -perché si può-, ma con anche il senso di colpa di esserti sopravvissuti o di averti rubato qualcosa che ti apparteneva (perlomeno io questo ho sempre provato),

in questi corti anni -il tempo è una cosa che facilmente ti scappa di mano- in realtà non sei mai andato via, sei sempre stato saldamente nei nostri pensieri e si sa, finché c’è qualcuno che ci ricorda non si è mai morti veramente.

Senti qua, il Cialdo è stato anche direttore di banca, ha due figlioli che lo fanno dannare e ora ha pure un cane, ma quello è adottato.

Il Mozzo ha un paio di figlioli o tre anche lui, sta bene, cerca sempre di fare cose nuove per non cadere nella routine. Pare anche che ora si lavi regolarmente, in memoria di sua madre, povera donna.

Mauri ce l’ha fatta, è diventato professore ordinario -è pure bravo sai- si è riprodotto anche lui in duplice copia, ci sentiamo ogni anno per brindare a te e ci ripromettiamo ogni volta di vederci, prima o poi ci si fa.

Il Gosto alla fine è il più ganzo di tutti, si è reinventato birraio e vince premi da tutte le parti. Ci becchiamo regolarmente ai concerti, vedrai che il prossimo maggio ci ritroveremo insieme nel pit di Bruce a Ferrara.

Walk tall, or don’t walk at all*

Dario ha ancora grandi idee che poi regolarmente gli vengono fottute, ma non demorde. Non demorde neanche nella riproduzione, è arrivato a quattro per cui lui non avrà bisogno di badanti, tra qualche anno.

Poi ci sono io, che faccio il tuo stesso lavoro -ma lo sai, ci siamo conosciuti a Pisa in Università- con ancora più passione di quando cominciammo.

Non mi sono riprodotto (ci han pensato già gli altri, anche per te), ho fatto qualche casino come tutti e alla fine sto bene dove sto. 

Sono un ragazzo fortunato**

Fra’, ma ti ricordi quando arrivasti a casa nostra in via Favilli a piangere e sfogarti perché era improvvisamente morto il tuo babbo, tu eri lontano da casa e ti disperavi perché avevi troppe cose rimaste in sospeso con lui e non avresti più potuto recuperare alcunché?

Ecco, sappi che quel momento l’ho fatto mio, da allora mi sei sempre risuonato in testa e con mio padre sono riuscito ad appianare tutto.

E questo grazie a te. Pensa, pochi giorni prima che se ne andasse, improvvisamente come il tuo, l’ho anche abbracciato. Poi gli ho fatto una sorpresa, ma questa è un’altra storia.

Per questo e per un sacco di altri motivi ti sarò sempre grato di essermi stato amico, di esserci anche quando non ci sei.

Non so se la tua mamma sia sempre con noi, la dolce Josette, così madre e così (s)fortunata con i figli, che vi ha avuti ma per troppo poco, così come ho perso i contatti con Isabella, nel senso che non la sento da tanto. E tu?

 tu come stai? 

non è cambiato niente no 

il vento non è mai passato tra di noi 

tu come stai 

non è accaduto niente no 

il tempo non ci ha mai perduto 

come stai? 

tu come stai?***

Isabella, che ti ha sopportato a lungo, e tanto basta. Testone che non sei altro.

Ma siamo tutti testoni, in un modo o nell’altro. Non saremmo noi, no?

Chissà, in questi venti anni magari avresti anche tu prodotto dei Franchini o delle Franchine , sarebbe stato ganzo, e ci saremmo visti tante volte de visu invece che nei nostri pensieri, ma forse ci siamo visti anche di più così.

Perché è andata così, ma continua ad andare.

Ciao Franco, hai insegnato agli angeli a … no via, questo non si può dire.

Sei con noi da sempre e per sempre

I tuoi Amici C, S, E, M, M, D

PS in realtà questa cosa l’ho scritta per me, perché tutto quello che ti ho scritto già lo sai. Prendilo come un ripasso, va’.

* B. Springsteen – New York city serenade

** Jovanotti – Ragazzo Fortunato

*** C. Baglioni – E tu come stai?

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Ho ritrovato la mia casa da bambino

Ho ritrovato la mia casa da bambino

Riconosco ogni angolo, ogni oggetto

Li tengo in mano, ne sento l’odore 

L’orario dei treni, la Garzantina, i Lanciostory

La camera bianca e azzurra con mio fratello piccolo

Poi è cresciuto parecchio

The Wall, Heavy Metal

Il Rocky Horror e il deodorante Nordica

Lo stereo ganzo con le poltrone blu dismesse dallo Skylab

Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo

Il Giulio, già amico per la vita

Il tavolo di vetro, le sedie di acciaio

La moquette e la carta da parati

L’ingresso scuro con quell’appendiabiti del cazzo

Le racchette e le palle da tennis

I lampadari improbabili con le gocce che si rompevano sempre

Le mie stampe, i miei libri, le mie Pentax

Il diariolinus 83, il casco Nava 

Il divano di pelle nera 

Le poltrone di pelle nera 

I mobili bianchi e neri

La tv a colori Philips Caravaggio

L‘ Iliana

Il Doro 

C’era anche sua madre all’epoca 

Poi per fortuna è morta

La ciotola d’acciaio del cane ce l’ho ancora

Anche il servito buono di piatti ce l’ho ancora

Ma lo tengo nascosto

È solo una stupida casa anni ottanta

Ma era la mia casa

E sarà la prima cosa che cercherò 

Dopo che sarò morto

(liberamente ispirato da Ritorno a casa-Afterhours)

Il Giovenco
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Una chiamata

Una chiamata. Lei sta male. Tu vedi, controlli, valuti. Dentro di te già sai cosa succederà. Non puoi dirlo, ancora. Chissà, magari ti sbagli. Guardi gli occhi di lei, belli, grandi, tristi. Guardi gli occhi di loro, preoccupati, interrogativi, speranzosi.
Controlli, valuti. Già sai. Purtroppo (o per fortuna?) è il tuo mestiere.
Cerchi certezze da vendere. Il tempo corre. Lei sta male, ma è dignitosa, bella, fiera. Stanca.
Guardi lei, guardi loro. Spesso la vita (la morte?) è impietosa. Cerchi le parole.
Ci sono parole giuste? Fare, non fare. Soffrire, non soffrire. Soffrire meno lei, soffrire tanto, loro. Aspettare. Non aspettare.
Il silenzio di un abbraccio.
Il prato dove fino a ieri giocava.
Piove. L’acqua bagna tutti, fuori e dentro.
Lei è stanca. Non corre. Guarda loro, guarda me.
Si sdraia. Si fa accarezzare.
E’ bellissima.
L’aria è intrisa di umidità, ineluttabilità e ingiustizia.
Si addormenta.
Per sempre.
Una chiamata. Una vita.

Breve Storia Triste.

Mattina. Esterno giorno. Salgo in macchina. Rumore di portiera che si chiude. Avviamento, rumore motore. Radio che suona. Retromarcia e via, si parte. Ma guarda ste macchine, sempre ad intralciare il traffico, maledetta pasticceria. Cazzo, lo vedi che c’è lo stop? Vieni più in qua già che ci sei, dai! Ogni mattina la stessa storia. Oggi devo anche andare dal commercialista, quindi via nel traffico del paese. Cazzo ma tutti fuori ora?
E ora che c’è? un furgone fermo? vabbè dai, deve scaricare…ma perché non scorre dall’altro senso? aspetta, ma che fa quello? ma cazzo, contromano, parcheggia nell’unico buco libero sulle strisce e di traverso e ferma il traffico noncurante che tutti gli suonino contro. Che gente di merda che c’è in giro però!

Ehi, un momento. Quella macchina bianca la conosco. Ora infamo il tipo che ne esce (nel frattempo ho superato il furgone, finalmente).
Eccolo, capelli bianchi, sulla settantina, il classico prepotente della strada.

A stron…ciao babbo, bel parcheggio stamattina eh! o_O
Via, vado dal commercialista. Ciao.

Il Folletto

Sono un folletto radical-chic.

O meglio, mi hanno detto che lo sono. Il mio compito, ma in realtà non è un compito perché lo faccio e basta, è portare felicità.
Mi riesce bene.

Nella vita incontro persone che hanno delle mancanze, a cui la vita stessa non ha sorriso troppo o lo ha fatto solo in passato. Mi attraggono.
Mi piace sentirmi utile e lo faccio bene. Ho bisogno di sentirmi utile. Mi hanno prodotto così. Sono timido, ma anche simpatico, molto intelligente, misterioso il giusto e un po’ guascone. Leggo il pensiero e mi adatto  alle situazioni. Do sempre le risposte giuste. Il mio secondo nome è Empatia.

Trasformo sguardi tristi in sorrisi smaglianti, frasi d’amore, momenti indimenticabili. Rendo migliori le albe e i tramonti, gli aperitivi e le cene, pure i risvegli e gli assopimenti. Porto colazioni a letto oppure mi portano il caffè, e chi me lo porta lo fa col sorriso di una giornata migliore. Ho il dono di far ridere e sorridere. Non è da tutti, ed io me ne approfitto. Mi chiamano anche l’Ottimista.

Creo immagini che rimangono a lungo e producono endorfine nelle persone che incontro. Immagini di passeggiate lungo i laghi, di mani intrecciate contro il sole, di abbracci infiniti, di bambini considerati e felici, di famiglie serene, cani a passeggio, addii e arrivederci,  caldi venerdì sera, di giochi sulla neve, carezze di gatti, anziani tranquilli, baci infuocati, tramonti sul mare,  viaggi felici, papaveri rossi nel campo di grano, madri immortali, riunioni tra amici, fratelli che litigano ma poi fanno pace.

Mazzi di fiori, biglietti di auguri, partenze e ritorni, aquiloni nel vento, biglietti di viaggi, autoscatti rubati, strade tortuose, caselli e autogrill, castagne nel bosco, sentieri isolani, “sei tu? si, sono qui!”

Rendo le persone uniche come l’amore che infondo loro. Mi nutro dell’amore che ricevo di ritorno. The love you take is not always equal to the love you make.

Creo la bellezza dei luoghi dove mi portano. Sono il blu del cielo e dell’acqua, il giallo del sole, il verde degli alberi e il marrone della terra. Sono il fuoco del caminetto acceso, la sabbia tiepida della spiaggia in un giorno d’inverno, il miglior sesso che proverai, il calore dell’abbraccio, il sapore del formaggio col miele, i progetti per il futuro, la musica in macchina, le impronte sulla neve, il gatto accoccolato sul letto, le risate per niente, la pioggia da bere, il bicchiere di Morellino, il whisky torbato, il mojito perfetto.

Sono i concerti all’aperto sotto la curva del cielo, sono  le libellule sopra gli stagni e le pozzanghere in città, le case di pane e le riunioni di rane, la polvere e il vento di una giornata perfetta. Sono la speranza di una vita migliore, la consapevolezza che tutto muore ma forse tutto quel che muore un giorno tornerà indietro, sono il treno che porta santi, peccatori, perdenti, vincitori, anime perse e cuori infranti verso una terra di speranza e sogni. Sono la tua America, la tua parte di letto in questa parte di vita, il tuo big love. Ovunque proteggo con la grazia del mio cuore.

Sono la tua pillola blu e la tua pillola rossa, il tuo fight club, la tua sliding door, il tuo ammaliatore di api, John Keating, Alexander Supertramp, il capitano Kirk, Rick Blaine ma anche Tyler Durden, Ace Ventura, Frank Drebin e Roy Batty. Ti faccio vedere cose che non potresti mai immaginare, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione o i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser.

Assorbo pensieri tristi e cancello solitudini. Produco sogni bellissimi anche se a volte li calpesto.Sono la miglior serie tv che vedrai. Miglioro vite altrui finché sento che c’è bisogno di me. Poi vado in cerca di altri buchi neri. Mi attraggono. Li attraggo.

Sono infedele.

Sono  l’ultimo Walter White.

E tutti quei momenti, alla fine, andranno perduti come lacrime nella pioggia senza che io possa farci più niente.

“Too late
Tonight
To drag the past out into the light
We’re one, but we’re not the same
We get to
Carry each other
Carry each other
One”
(U2-One)

Time

Facciate schiaffeggiate dal tempo

Facce intonacate alla meglio

Quadri staccati

Silenzio opprimente

Qualcuno parla

Solo una radio che suona

Scale sconnesse

Come le vite passate di qui

Je suis Sally

In questo colloquio immaginario, condito dall’ascolto -doloroso- di Sally di Vasco, mi scorrono davanti agli occhi le immagini di te statuaria, altera ma fragile allo stesso tempo, lo sguardo velato di tristezza ( sad eyes never lie…) e comunque proteso in avanti, mai a guardare in basso…

Una donna con brutte storie alle spalle, ma sono state proprio sbagliate queste storie? o sono state esperienze diverse, che quando le vivevi erano belle ma il cui ricordo, poi, portava solo dolore, rimpianto, rassegnazione, perché ci hanno insegnato che l’amore non muore mai e che le storie durano per sempre ma poi in realtà non è quasi mai così…

“Questo è solo l’inizio”

Si, cara la mia Sally, quella frase aveva un senso, era così forte e vera che te la ripetevo spesso, perché in realtà c’era del gran bello da sviluppare…abbiamo viaggiato, abbiamo sognato, abbiamo fatto l’amore, abbiamo litigato sui nostri caratteri spigolosi, ci siamo aspettati, abbiamo girato aeroporti in lungo e in largo e aspettato di separarci solo all’ultimo secondo, abbiamo parlato, quanto abbiamo parlato…

e sai cosa c’è, la tua bellezza sta anche nella tua fragilità, nella tua voglia di darti ma sempre a modo tuo, nel tuo attaccamento ai tuoi luoghi, ai tuoi cari, quell’ attaccamento forte e responsabile che ti fa pensare che solo tu possa gestire certe situazioni.

Sally, la verità è che nessuno, nessuno è indispensabile, o meglio non si può pensare che senza di noi certe cose non possono andare perché si finisce col rovinare la nostra stessa vita. Non si può essere sempre arrabbiati col mondo, il mondo è così e lo sarà sempre, un po’ giusto e un po’ no, a seconda dei punti di vista degli attori in gioco.

Perché vedi Sally, la vita e le scelte non sono mai facili per nessuno. Tu lo sai, io lo so. La paura di sbagliare ancora, la paura dei cambiamenti, la paura e basta, irrazionale, che frena la corsa verso la vita, che crea rimpianti, rimorsi, chiude le bocche, blocca le parole è una puttana bastarda che castra le aspettative e gli amori più forti.

Ammazzandoli.

O modificandoli per rendere meno amara la realtà.

A me, Sally, è accaduto questo. A forza di cercare di saltare su di un treno in corsa e di frenarlo con le mie mani nelle tue e le tasche piene di sassi per avere più forza, è accaduto proprio questo. Un sentimento eterno, stabile, diverso. Un bene dell’anima.

Ma che a te, comprendo, non può andare bene, almeno per ora. E col tuo carattere potrebbe non andarti bene mai, ma non è vero che non è mai successo nulla, non è vero che non c’è mai stato nulla, non è vero che sei un cristallo di Boemia esploso in mille inutili pezzi, non è vero che non sei mai stata amata, non è vero che era tutta una finzione.

Non è vero che i frammenti inutili finiranno dimenticati in mezzo al campo, perché nessuno ce li butterà, ma si ricomporranno piano piano in un altro vaso scintillante. Che vivere ne vale sempre la pena, mamma o non mamma.

Perché Sally, non te l’ho ancora detto, ma anch’io sono un po’ Sally.
Siamo tutti Sally, prima o poi.

con amore infinito

Sally

Il mio Gianluca

“Che ci fai qui Claudio?”

“che ci fai qui te, Gianluca!”

Ci conoscevamo già da tempo, compaesani fornacini, il grande Tronca amico del Cencio, del Claudio mì cugino, fratello del Nicola che era in classe con me alle medie, figlio maggiore della Renza che, pur non avendola mai avuta a scuola come maestra, conoscevo lo stesso piuttosto bene.

Il Tronca, quello che quando io ero bimbetto, lui dieci anni di più –neanche tanti, ma a quelle età scolari facevano la differenza- quello grande della combriccola del mì cugino, figliolo della Lisi -sorella dello Zimbo– e del Vitaliano, puntualmente si presentava a portare allegria verso la fine del pranzo tradizionale di Capodanno che la Lisina allestiva con la maestria che solo lei possedeva.

Di quei pranzi ricordo poche cose: l’allegria familiare, il profumo dei famosi crostini che la Lisi preparava con imbattuta perizia e, appunto, I fragorosi ingressi del Tronca che veniva a portarsi via il Claudio (non io, quell’altro. Della fantasia della mia famiglia nell’affibbiare nomi parlerò poi. Per la cronaca anche mi pà si chiamerebbe Claudio) per le loro scorribande giovanili di inizio anno.

Il Tronca, che poi a me quel soprannome pareva anche un po’ offensivo, perché a me non sembrava già allora solo uno che spaccava porte ma uno che sapeva il fatto suo, nascosto dietro quell’allegria e quell’ottimismo che per fortuna possiedo anch’io e che, forse, devo anche a lui. Troncausci, perché la leggenda narrava che alle Scuole Elementari una volta avesse chiuso –o aperto, non si sa- una di quelle grosse porte pesanti di legno delle aule, troncandola per l’impeto messo nell’azione.

Il Tronca,che nonostante il soprannome si era iscritto a Veterinaria a Pisa e si era anche laureato, in barba a chi pensava fosse solo un simpatico guascone rompiporte.

Il Tronca, che era il veterinario del mio primo cane, la Elly, che veniva a visitare a casa portando professionalità e sorrisi alla mia mamma. È anche colpa sua se alla fine ho scelto di fare il suo stesso mestiere.

Il Tronca, che al mio matrimonio si mise a cantare offrendo divertimento per tutti, dandomi ancor di più l’orgoglio di averlo come amico.

Perché io a Gianluca devo anche molto, ma questo si capirà più avanti. O lo sapete già?

 

“Eh, son venuto a prendere l’originale della laurea e dell’attestato di abilitazione professionale perché ho vinto un concorso alla USL. E te?”

“io Sono venuto a presentare la mia tesi di laurea, son quasi in fondo ormai”

“Allora te finisci presto e poi vienimi a trovare per imparare la professione, che poi si vede”

 

Era il 1992. Mi laureai in luglio e da subito iniziai a frequentare il suo Studio a Bagni di Lucca. Imparai tutto da lui, a fare meno errori possibili e a riconoscere le principali malattie degli animali che venivano portati a visita.

Mi portava anche nelle stalle, a fare visite e prelievi. Ricordo una stalla in alta Garfagnana dove mi insegnò a prelevare il sangue  dalla vena caudale delle vacche.

Era facile. Passai l’esame, anche se puzzai di merda di vacca per giorni, visto che alcune di esse per ringraziarmi di averle prese per la coda mi cacarono simpaticamente addosso.

Avete presente dei getti di alcuni chili di quella roba lì? Ecco.

Mi testava. Nel contempo ci raccontavamo, si chiacchierava, diventammo amici.

Spesso rimanevamo fuori oltre l’orario e andavamo a fare le visite domiciliari notturne.

Qualche volta ci presentavamo a casa della gente anche alle dieci, dieci e mezzo di sera.

Il bello è che non ci buttavano mai fuori, anzi, ci aspettavano comunque fino a tardi.

Erano altri tempi.

Altre volte ce ne andavamo a magiare una pizza da Vinicio, dove famose erano due cose:

la pizza e i giganteschi litigi tra Vinicio e suo figlio, con moccoli e piatti che volavano ad altezza testa.

Oppure al Caffè Del Sonno. Più tranquilli lì, come il nome del locale, oppure rimanevamo direttamente a mangiare a casa di chi ci chiamava per una visita a casa del proprio cane o gatto.

La gente di Bagni di Lucca, Fornoli, Crasciana, Casabasciana, Brandeglio, San Cassiano, Montefegatesi e di tutti gli altri paesini vicini l’ho conosciuta così. Col Tronca.

Era bravo con i pazienti, era bravo con i loro padroni. Gli volevano bene e si vedeva.

Non trovava mai la via per tornare a casa.

Qualche volta gli prendeva sonno e allora si fermava con la macchina a mezza via, si faceva una dormitina di un paio d’ore o più e poi riprendeva la strada di casa.

Nel contempo l’Annamaria, la moglie, aveva già allertato la Misericordia, i Pompieri, la Stradale e aveva telefonato ai vari bar tra Bagni di Lucca e Castelnuovo per sapere se Gianluca fosse passato da lì.
Se in Italia ci fossero state le Giubbe Rosse avrebbe chiamato anche quelle.

Ma lui era fatto così. Tornava a casa, un sorriso, una litigata di quelle bianche e tutto tornava a posto.

Ah già, allora i telefonini erano solo per i cittadini. Bei tempi.

Nel periodo in cui lavorò come libero professionista era maledettamente bravo, in un periodo in cui la veterinaria era soprattutto visita clinica, termometro e microscopio lui era un ottimo clinico.

Anche un grande insegnante, le mie basi ed oltre le devo a lui. Poi diventò la norma anche per me, ma rimanevo affascinato quando con la sole cose che gli raccontavano i proprietari di animali al telefono, già sapeva di cosa si trattasse.

“vai su dalla Piera a Vallico Sopra, ha un maiale che non mangia con delle macchie rosse sulla pelle. Misuragli la febbre, se ce l’ha è malrossino, fagli una puntura di Tylan e lasciale il flacone”

“Vedi questa cagna? Non mangia, beve tanto, è andata in calore due mesi fa, ora ha le perdite. Se non è piometra questa smetto di fa il veterinario!”

Il suo modo di insegnare il suo sapere, mai supponente, sempre positivo, sempre umile e sempre pronto a mettersi in discussione non erano da tutti.

Ho avuto la fortuna di capitare nel posto giusto al momento giusto. Uscito dall’Università, lui aveva appena vinto il concorso alla USL ed aveva bisogno di lasciare l’attività liberoprofessionale.

Con la sua solita semplicità mi disse se volevo rilevare il suo ambulatorio. Ora immaginate uno che si, va ad imparare il mestiere da un collega, ma che non ha idea di cosa farà nell’immediato perché non ci ha ancora pensato o non ci vuole proprio pensare, e si sente dire se voglio il suo ambulatorio, già ben avviato e con clientela numerosa.

“Si, ma come faccio a pagarti?”

“Non c’è problema, mi paghi piano piano con i profitti dell’ambulatorio, io ti affianco per un paio d’anni così conosci tutti mentre diventi un bravo veterinario”.

Gianluca era così. Semplice, positivo ed altruista. Ed andò proprio così.
Fummo colleghi instancabili fino al 1997 circa, anno in cui finì il suo percorso di affiancamento con me e mi lasciò aprire le ali da solo. E mi mancò già lì la sua presenza.

Nel frattempo mi ero sposato e del suo spettacolo canoro ho già detto, che se non fosse stato per la moglie che lo moderava sarebbe ancora lì a cantare con tutti.

Per tutti quegli anni il suo più fedele amico era il Doc, un Breton maschio che ha lasciato più figli lui in Mediavalle e in Garfagnana che il Dr Viglione ai tempi d’oro.

“Gianluca, c’ho un cane qui che mi sembra il tuo, io è tre giorni che gli d da mangiare e son tre giorni che mi tromba la cagna. Lo vieni a prendere?

“Eh si mi sa che è il mio, son giusto tre giorni che m’è scappato, domani lo vengo a prende, ‘un ti preoccupà!”

Ci rido ancora.

Dopo ci vedevamo più di rado, ma andavamo ogni tanto a mangiare qualcosa assieme oppure ci vedevamo in giro per lavoro, lui per l’ASL, io per le mie domiciliari, oppure a cena con le rispettive mogli.

E ancora lo andavo a vedere ed ascoltare nelle sue attività teatrali, che aveva intensificato avendo più tempo libero da dedicarci.

Ci vedemmo poi per una occasione ufficiale, verso metà 2013. L’Ordine dei Medici Veterinari di Lucca, di cui sono tuttora consigliere, aveva deciso di dare un premio “alla carriera” ai laureati da trent’anni. Naturalmente pretesi che il suo premio glielo consegnassi io, che gli dovevo così tanto.
Quel gesto simbolico mi parve molto bello.

Sapevo già che gli era stato diagnosticato un linfoma, quella sera ne parlammo un po’, con fiducia verso le terapie che avrebbe intrapreso da lì a una settimana.

Stava bene.

Solo poche settimane fa la signora Anna, la segretaria storica dell’Ordine nonché conoscente trentennale di Gianluca, mi disse che in quell’occasione lui gli confidò cheormai ne aveva per poco, visto quello che aveva.

Era ottimista ma era anche lucido.

Nell’ultimo anno Gianluca ha avuto alti e bassi con le terapie. Quando sembrava che tutto fosse andato per il meglio però un crollo delle sue difese con febbre persistente ne richiesero un nuovo ricovero, a Castelnuovo prima e poi a Lucca, al San Luca.

Era poco prima di Natale 2014.

A Castelnuovo lo trovai sempre combattivo, in cuor suo sapeva che sarebbe stato molto difficile ma non disperava di uscire anche da quella situazione.

Ad un certo punto lo chiama al telefono la mamma, la Renza: “come vuoi che vada,mamma? Male”

Da fuori feci finta di nulla, da dentro in quel momento sono morto io. Era la resa.

Un aggravamento la sera stessa lo portò appunto in terapia intensiva al San Luca, dove ha resistito un’altra decina di giorni.

Lo andai a trovare per Santo Stefano.

Era stanco, visibilmente provato ed incredulo di avere così poche forze, perché finché si è vivi non si pensa mai di morire.

Gli altri muoiono, non noi.

Era sempre lui, ma gli occhi erano stanchi, lucidi, forse sopraffatti.

Abbiamo chiacchierato un po, in quella stanza piena di monitor, ma comunque spaziosa e paradossalmente accogliente.

Credo fosse contento che ero andato a trovarlo.

Mi ha lasciato con un “Grazie Claudio”.

Grazie a te Gianluca, di tutto.

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