Son vent’anni che sei ito, son vent’anni che non sei più tra noi.
Noi cioè io, il Cialdo, il Mozzo, Mauri, il Gosto, Dario e tutti gli altri che ti hanno vissuto.
Però oggi parliamo solo di noi sei, che abbiamo percorso e ancora stiamo percorrendo un pezzo di vita assieme.
Con coraggio -perché si deve- e con leggerezza -perché si può-, ma con anche il senso di colpa di esserti sopravvissuti o di averti rubato qualcosa che ti apparteneva (perlomeno io questo ho sempre provato),
in questi corti anni -il tempo è una cosa che facilmente ti scappa di mano- in realtà non sei mai andato via, sei sempre stato saldamente nei nostri pensieri e si sa, finché c’è qualcuno che ci ricorda non si è mai morti veramente.
Senti qua, il Cialdo è stato anche direttore di banca, ha due figlioli che lo fanno dannare e ora ha pure un cane, ma quello è adottato.
Il Mozzo ha un paio di figlioli o tre anche lui, sta bene, cerca sempre di fare cose nuove per non cadere nella routine. Pare anche che ora si lavi regolarmente, in memoria di sua madre, povera donna.
Mauri ce l’ha fatta, è diventato professore ordinario -è pure bravo sai- si è riprodotto anche lui in duplice copia, ci sentiamo ogni anno per brindare a te e ci ripromettiamo ogni volta di vederci, prima o poi ci si fa.
Il Gosto alla fine è il più ganzo di tutti, si è reinventato birraio e vince premi da tutte le parti. Ci becchiamo regolarmente ai concerti, vedrai che il prossimo maggio ci ritroveremo insieme nel pit di Bruce a Ferrara.
Walk tall, or don’t walk at all*
Dario ha ancora grandi idee che poi regolarmente gli vengono fottute, ma non demorde. Non demorde neanche nella riproduzione, è arrivato a quattro per cui lui non avrà bisogno di badanti, tra qualche anno.
Poi ci sono io, che faccio il tuo stesso lavoro -ma lo sai, ci siamo conosciuti a Pisa in Università- con ancora più passione di quando cominciammo.
Non mi sono riprodotto (ci han pensato già gli altri, anche per te), ho fatto qualche casino come tutti e alla fine sto bene dove sto.
Sono un ragazzo fortunato**
Fra’, ma ti ricordi quando arrivasti a casa nostra in via Favilli a piangere e sfogarti perché era improvvisamente morto il tuo babbo, tu eri lontano da casa e ti disperavi perché avevi troppe cose rimaste in sospeso con lui e non avresti più potuto recuperare alcunché?
Ecco, sappi che quel momento l’ho fatto mio, da allora mi sei sempre risuonato in testa e con mio padre sono riuscito ad appianare tutto.
E questo grazie a te. Pensa, pochi giorni prima che se ne andasse, improvvisamente come il tuo, l’ho anche abbracciato. Poi gli ho fatto una sorpresa, ma questa è un’altra storia.
Per questo e per un sacco di altri motivi ti sarò sempre grato di essermi stato amico, di esserci anche quando non ci sei.
Non so se la tua mamma sia sempre con noi, la dolce Josette, così madre e così (s)fortunata con i figli, che vi ha avuti ma per troppo poco, così come ho perso i contatti con Isabella, nel senso che non la sento da tanto. E tu?
tu come stai?
non è cambiato niente no
il vento non è mai passato tra di noi
tu come stai
non è accaduto niente no
il tempo non ci ha mai perduto
come stai?
tu come stai?***
Isabella, che ti ha sopportato a lungo, e tanto basta. Testone che non sei altro.
Ma siamo tutti testoni, in un modo o nell’altro. Non saremmo noi, no?
Chissà, in questi venti anni magari avresti anche tu prodotto dei Franchini o delle Franchine , sarebbe stato ganzo, e ci saremmo visti tante volte de visu invece che nei nostri pensieri, ma forse ci siamo visti anche di più così.
Perché è andata così, ma continua ad andare.
Ciao Franco, hai insegnato agli angeli a … no via, questo non si può dire.
Sei con noi da sempre e per sempre
I tuoi Amici C, S, E, M, M, D
PS in realtà questa cosa l’ho scritta per me, perché tutto quello che ti ho scritto già lo sai. Prendilo come un ripasso, va’.
Una chiamata. Lei sta male. Tu vedi, controlli, valuti. Dentro di te già sai cosa succederà. Non puoi dirlo, ancora. Chissà, magari ti sbagli. Guardi gli occhi di lei, belli, grandi, tristi. Guardi gli occhi di loro, preoccupati, interrogativi, speranzosi.
Controlli, valuti. Già sai. Purtroppo (o per fortuna?) è il tuo mestiere.
Cerchi certezze da vendere. Il tempo corre. Lei sta male, ma è dignitosa, bella, fiera. Stanca.
Guardi lei, guardi loro. Spesso la vita (la morte?) è impietosa. Cerchi le parole.
Ci sono parole giuste? Fare, non fare. Soffrire, non soffrire. Soffrire meno lei, soffrire tanto, loro. Aspettare. Non aspettare.
Il silenzio di un abbraccio.
Il prato dove fino a ieri giocava.
Piove. L’acqua bagna tutti, fuori e dentro.
Lei è stanca. Non corre. Guarda loro, guarda me.
Si sdraia. Si fa accarezzare.
E’ bellissima.
L’aria è intrisa di umidità, ineluttabilità e ingiustizia.
Mattina. Esterno giorno. Salgo in macchina. Rumore di portiera che si chiude. Avviamento, rumore motore. Radio che suona. Retromarcia e via, si parte. Ma guarda ste macchine, sempre ad intralciare il traffico, maledetta pasticceria. Cazzo, lo vedi che c’è lo stop? Vieni più in qua già che ci sei, dai! Ogni mattina la stessa storia. Oggi devo anche andare dal commercialista, quindi via nel traffico del paese. Cazzo ma tutti fuori ora? E ora che c’è? un furgone fermo? vabbè dai, deve scaricare…ma perché non scorre dall’altro senso? aspetta, ma che fa quello? ma cazzo, contromano, parcheggia nell’unico buco libero sulle strisce e di traverso e ferma il traffico noncurante che tutti gli suonino contro. Che gente di merda che c’è in giro però!
Ehi, un momento. Quella macchina bianca la conosco. Ora infamo il tipo che ne esce (nel frattempo ho superato il furgone, finalmente).
Eccolo, capelli bianchi, sulla settantina, il classico prepotente della strada.
A stron…ciao babbo, bel parcheggio stamattina eh! Via, vado dal commercialista. Ciao.
O meglio, mi hanno detto che lo sono. Il mio compito, ma in realtà non è un compito perché lo faccio e basta, è portare felicità.
Mi riesce bene.
Nella vita incontro persone che hanno delle mancanze, a cui la vita stessa non ha sorriso troppo o lo ha fatto solo in passato. Mi attraggono.
Mi piace sentirmi utile e lo faccio bene. Ho bisogno di sentirmi utile. Mi hanno prodotto così. Sono timido, ma anche simpatico, molto intelligente, misterioso il giusto e un po’ guascone. Leggo il pensiero e mi adatto alle situazioni. Do sempre le risposte giuste. Il mio secondo nome è Empatia.
Trasformo sguardi tristi in sorrisi smaglianti, frasi d’amore, momenti indimenticabili. Rendo migliori le albe e i tramonti, gli aperitivi e le cene, pure i risvegli e gli assopimenti. Porto colazioni a letto oppure mi portano il caffè, e chi me lo porta lo fa col sorriso di una giornata migliore. Ho il dono di far ridere e sorridere. Non è da tutti, ed io me ne approfitto. Mi chiamano anche l’Ottimista.
Creo immagini che rimangono a lungo e producono endorfine nelle persone che incontro. Immagini di passeggiate lungo i laghi, di mani intrecciate contro il sole, di abbracci infiniti, di bambini considerati e felici, di famiglie serene, cani a passeggio, addii e arrivederci, caldi venerdì sera, di giochi sulla neve, carezze di gatti, anziani tranquilli, baci infuocati, tramonti sul mare, viaggi felici, papaveri rossi nel campo di grano, madri immortali, riunioni tra amici, fratelli che litigano ma poi fanno pace.
Mazzi di fiori, biglietti di auguri, partenze e ritorni, aquiloni nel vento, biglietti di viaggi, autoscatti rubati, strade tortuose, caselli e autogrill, castagne nel bosco, sentieri isolani, “sei tu? si, sono qui!”
Rendo le persone uniche come l’amore che infondo loro. Mi nutro dell’amore che ricevo di ritorno. The love you take is not always equal to the love you make.
Creo la bellezza dei luoghi dove mi portano. Sono il blu del cielo e dell’acqua, il giallo del sole, il verde degli alberi e il marrone della terra. Sono il fuoco del caminetto acceso, la sabbia tiepida della spiaggia in un giorno d’inverno, il miglior sesso che proverai, il calore dell’abbraccio, il sapore del formaggio col miele, i progetti per il futuro, la musica in macchina, le impronte sulla neve, il gatto accoccolato sul letto, le risate per niente, la pioggia da bere, il bicchiere di Morellino, il whisky torbato, il mojito perfetto.
Sono i concerti all’aperto sotto la curva del cielo, sono le libellule sopra gli stagni e le pozzanghere in città, le case di pane e le riunioni di rane, la polvere e il vento di una giornata perfetta. Sono la speranza di una vita migliore, la consapevolezza che tutto muore ma forse tutto quel che muore un giorno tornerà indietro, sono il treno che porta santi, peccatori, perdenti, vincitori, anime perse e cuori infranti verso una terra di speranza e sogni. Sono la tua America, la tua parte di letto in questa parte di vita, il tuo big love. Ovunque proteggo con la grazia del mio cuore.
Sono la tua pillola blu e la tua pillola rossa, il tuo fight club, la tua sliding door, il tuo ammaliatore di api, John Keating, Alexander Supertramp, il capitano Kirk, Rick Blaine ma anche Tyler Durden, Ace Ventura, Frank Drebin e Roy Batty. Ti faccio vedere cose che non potresti mai immaginare, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione o i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser.
Assorbo pensieri tristi e cancello solitudini. Produco sogni bellissimi anche se a volte li calpesto.Sono la miglior serie tv che vedrai. Miglioro vite altrui finché sento che c’è bisogno di me. Poi vado in cerca di altri buchi neri. Mi attraggono. Li attraggo.
Sono infedele.
Sono l’ultimo Walter White.
E tutti quei momenti, alla fine, andranno perduti come lacrime nella pioggia senza che io possa farci più niente.
“Too late
Tonight
To drag the past out into the light
We’re one, but we’re not the same
We get to
Carry each other
Carry each other
One”
(U2-One)
In questo colloquio immaginario, condito dall’ascolto -doloroso- di Sally di Vasco, mi scorrono davanti agli occhi le immagini di te statuaria, altera ma fragile allo stesso tempo, lo sguardo velato di tristezza ( sad eyes never lie…) e comunque proteso in avanti, mai a guardare in basso…
Una donna con brutte storie alle spalle, ma sono state proprio sbagliate queste storie? o sono state esperienze diverse, che quando le vivevi erano belle ma il cui ricordo, poi, portava solo dolore, rimpianto, rassegnazione, perché ci hanno insegnato che l’amore non muore mai e che le storie durano per sempre ma poi in realtà non è quasi mai così…
“Questo è solo l’inizio”
Si, cara la mia Sally, quella frase aveva un senso, era così forte e vera che te la ripetevo spesso, perché in realtà c’era del gran bello da sviluppare…abbiamo viaggiato, abbiamo sognato, abbiamo fatto l’amore, abbiamo litigato sui nostri caratteri spigolosi, ci siamo aspettati, abbiamo girato aeroporti in lungo e in largo e aspettato di separarci solo all’ultimo secondo, abbiamo parlato, quanto abbiamo parlato…
e sai cosa c’è, la tua bellezza sta anche nella tua fragilità, nella tua voglia di darti ma sempre a modo tuo, nel tuo attaccamento ai tuoi luoghi, ai tuoi cari, quell’ attaccamento forte e responsabile che ti fa pensare che solo tu possa gestire certe situazioni.
Sally, la verità è che nessuno, nessuno è indispensabile, o meglio non si può pensare che senza di noi certe cose non possono andare perché si finisce col rovinare la nostra stessa vita. Non si può essere sempre arrabbiati col mondo, il mondo è così e lo sarà sempre, un po’ giusto e un po’ no, a seconda dei punti di vista degli attori in gioco.
Perché vedi Sally, la vita e le scelte non sono mai facili per nessuno. Tu lo sai, io lo so. La paura di sbagliare ancora, la paura dei cambiamenti, la paura e basta, irrazionale, che frena la corsa verso la vita, che crea rimpianti, rimorsi, chiude le bocche, blocca le parole è una puttana bastarda che castra le aspettative e gli amori più forti.
Ammazzandoli.
O modificandoli per rendere meno amara la realtà.
A me, Sally, è accaduto questo. A forza di cercare di saltare su di un treno in corsa e di frenarlo con le mie mani nelle tue e le tasche piene di sassi per avere più forza, è accaduto proprio questo. Un sentimento eterno, stabile, diverso. Un bene dell’anima.
Ma che a te, comprendo, non può andare bene, almeno per ora. E col tuo carattere potrebbe non andarti bene mai, ma non è vero che non è mai successo nulla, non è vero che non c’è mai stato nulla, non è vero che sei un cristallo di Boemia esploso in mille inutili pezzi, non è vero che non sei mai stata amata, non è vero che era tutta una finzione.
Non è vero che i frammenti inutili finiranno dimenticati in mezzo al campo, perché nessuno ce li butterà, ma si ricomporranno piano piano in un altro vaso scintillante. Che vivere ne vale sempre la pena, mamma o non mamma.
Perché Sally, non te l’ho ancora detto, ma anch’io sono un po’ Sally. Siamo tutti Sally, prima o poi.
Ci conoscevamo già da tempo, compaesani fornacini, il grande Tronca amico del Cencio, del Claudio mì cugino, fratello del Nicola che era in classe con me alle medie, figlio maggiore della Renza che, pur non avendola mai avuta a scuola come maestra, conoscevo lo stesso piuttosto bene.
Il Tronca, quello che quando io ero bimbetto, lui dieci anni di più –neanche tanti, ma a quelle età scolari facevano la differenza- quello grande della combriccola del mì cugino, figliolo della Lisi -sorella dello Zimbo– e del Vitaliano, puntualmente si presentava a portare allegria verso la fine del pranzo tradizionale di Capodanno che la Lisina allestiva con la maestria che solo lei possedeva.
Di quei pranzi ricordo poche cose: l’allegria familiare, il profumo dei famosi crostini che la Lisi preparava con imbattuta perizia e, appunto, I fragorosi ingressi del Tronca che veniva a portarsi via il Claudio (non io, quell’altro. Della fantasia della mia famiglia nell’affibbiare nomi parlerò poi. Per la cronaca anche mi pà si chiamerebbe Claudio) per le loro scorribande giovanili di inizio anno.
Il Tronca, che poi a me quel soprannome pareva anche un po’ offensivo, perché a me non sembrava già allora solo uno che spaccava porte ma uno che sapeva il fatto suo, nascosto dietro quell’allegria e quell’ottimismo che per fortuna possiedo anch’io e che, forse, devo anche a lui. Troncausci, perché la leggenda narrava che alle Scuole Elementari una volta avesse chiuso –o aperto, non si sa- una di quelle grosse porte pesanti di legno delle aule, troncandola per l’impeto messo nell’azione.
Il Tronca,che nonostante il soprannome si era iscritto a Veterinaria a Pisa e si era anche laureato, in barba a chi pensava fosse solo un simpatico guascone rompiporte.
Il Tronca, che era il veterinario del mio primo cane, la Elly, che veniva a visitare a casa portando professionalità e sorrisi alla mia mamma. È anche colpa sua se alla fine ho scelto di fare il suo stesso mestiere.
Il Tronca, che al mio matrimonio si mise a cantare offrendo divertimento per tutti, dandomi ancor di più l’orgoglio di averlo come amico.
Perché io a Gianluca devo anche molto, ma questo si capirà più avanti. O lo sapete già?
“Eh, son venuto a prendere l’originale della laurea e dell’attestato di abilitazione professionale perché ho vinto un concorso alla USL. E te?”
“io Sono venuto a presentare la mia tesi di laurea, son quasi in fondo ormai”
“Allora te finisci presto e poi vienimi a trovare per imparare la professione, che poi si vede”
Era il 1992. Mi laureai in luglio e da subito iniziai a frequentare il suo Studio a Bagni di Lucca. Imparai tutto da lui, a fare meno errori possibili e a riconoscere le principali malattie degli animali che venivano portati a visita.
Mi portava anche nelle stalle, a fare visite e prelievi. Ricordo una stalla in alta Garfagnana dove mi insegnò a prelevare il sangue dalla vena caudale delle vacche.
Era facile. Passai l’esame, anche se puzzai di merda di vacca per giorni, visto che alcune di esse per ringraziarmi di averle prese per la coda mi cacarono simpaticamente addosso.
Avete presente dei getti di alcuni chili di quella roba lì? Ecco.
Mi testava. Nel contempo ci raccontavamo, si chiacchierava, diventammo amici.
Spesso rimanevamo fuori oltre l’orario e andavamo a fare le visite domiciliari notturne.
Qualche volta ci presentavamo a casa della gente anche alle dieci, dieci e mezzo di sera.
Il bello è che non ci buttavano mai fuori, anzi, ci aspettavano comunque fino a tardi.
Erano altri tempi.
Altre volte ce ne andavamo a magiare una pizza da Vinicio, dove famose erano due cose:
la pizza e i giganteschi litigi tra Vinicio e suo figlio, con moccoli e piatti che volavano ad altezza testa.
Oppure al Caffè Del Sonno. Più tranquilli lì, come il nome del locale, oppure rimanevamo direttamente a mangiare a casa di chi ci chiamava per una visita a casa del proprio cane o gatto.
La gente di Bagni di Lucca, Fornoli, Crasciana, Casabasciana, Brandeglio, San Cassiano, Montefegatesi e di tutti gli altri paesini vicini l’ho conosciuta così. Col Tronca.
Era bravo con i pazienti, era bravo con i loro padroni. Gli volevano bene e si vedeva.
Non trovava mai la via per tornare a casa.
Qualche volta gli prendeva sonno e allora si fermava con la macchina a mezza via, si faceva una dormitina di un paio d’ore o più e poi riprendeva la strada di casa.
Nel contempo l’Annamaria, la moglie, aveva già allertato la Misericordia, i Pompieri, la Stradale e aveva telefonato ai vari bar tra Bagni di Lucca e Castelnuovo per sapere se Gianluca fosse passato da lì.
Se in Italia ci fossero state le Giubbe Rosse avrebbe chiamato anche quelle.
Ma lui era fatto così. Tornava a casa, un sorriso, una litigata di quelle bianche e tutto tornava a posto.
Ah già, allora i telefonini erano solo per i cittadini. Bei tempi.
Nel periodo in cui lavorò come libero professionista era maledettamente bravo, in un periodo in cui la veterinaria era soprattutto visita clinica, termometro e microscopio lui era un ottimo clinico.
Anche un grande insegnante, le mie basi ed oltre le devo a lui. Poi diventò la norma anche per me, ma rimanevo affascinato quando con la sole cose che gli raccontavano i proprietari di animali al telefono, già sapeva di cosa si trattasse.
“vai su dalla Piera a Vallico Sopra, ha un maiale che non mangia con delle macchie rosse sulla pelle. Misuragli la febbre, se ce l’ha è malrossino, fagli una puntura di Tylan e lasciale il flacone”
“Vedi questa cagna? Non mangia, beve tanto, è andata in calore due mesi fa, ora ha le perdite. Se non è piometra questa smetto di fa il veterinario!”
Il suo modo di insegnare il suo sapere, mai supponente, sempre positivo, sempre umile e sempre pronto a mettersi in discussione non erano da tutti.
Ho avuto la fortuna di capitare nel posto giusto al momento giusto. Uscito dall’Università, lui aveva appena vinto il concorso alla USL ed aveva bisogno di lasciare l’attività liberoprofessionale.
Con la sua solita semplicità mi disse se volevo rilevare il suo ambulatorio. Ora immaginate uno che si, va ad imparare il mestiere da un collega, ma che non ha idea di cosa farà nell’immediato perché non ci ha ancora pensato o non ci vuole proprio pensare, e si sente dire se voglio il suo ambulatorio, già ben avviato e con clientela numerosa.
“Si, ma come faccio a pagarti?”
“Non c’è problema, mi paghi piano piano con i profitti dell’ambulatorio, io ti affianco per un paio d’anni così conosci tutti mentre diventi un bravo veterinario”.
Gianluca era così. Semplice, positivo ed altruista. Ed andò proprio così.
Fummo colleghi instancabili fino al 1997 circa, anno in cui finì il suo percorso di affiancamento con me e mi lasciò aprire le ali da solo. E mi mancò già lì la sua presenza.
Nel frattempo mi ero sposato e del suo spettacolo canoro ho già detto, che se non fosse stato per la moglie che lo moderava sarebbe ancora lì a cantare con tutti.
Per tutti quegli anni il suo più fedele amico era il Doc, un Breton maschio che ha lasciato più figli lui in Mediavalle e in Garfagnana che il Dr Viglione ai tempi d’oro.
“Gianluca, c’ho un cane qui che mi sembra il tuo, io è tre giorni che gli d da mangiare e son tre giorni che mi tromba la cagna. Lo vieni a prendere?”
“Eh si mi sa che è il mio, son giusto tre giorni che m’è scappato, domani lo vengo a prende, ‘un ti preoccupà!”
Ci rido ancora.
Dopo ci vedevamo più di rado, ma andavamo ogni tanto a mangiare qualcosa assieme oppure ci vedevamo in giro per lavoro, lui per l’ASL, io per le mie domiciliari, oppure a cena con le rispettive mogli.
E ancora lo andavo a vedere ed ascoltare nelle sue attività teatrali, che aveva intensificato avendo più tempo libero da dedicarci.
Ci vedemmo poi per una occasione ufficiale, verso metà 2013. L’Ordine dei Medici Veterinari di Lucca, di cui sono tuttora consigliere, aveva deciso di dare un premio “alla carriera” ai laureati da trent’anni. Naturalmente pretesi che il suo premio glielo consegnassi io, che gli dovevo così tanto.
Quel gesto simbolico mi parve molto bello.
Sapevo già che gli era stato diagnosticato un linfoma, quella sera ne parlammo un po’, con fiducia verso le terapie che avrebbe intrapreso da lì a una settimana.
Stava bene.
Solo poche settimane fa la signora Anna, la segretaria storica dell’Ordine nonché conoscente trentennale di Gianluca, mi disse che in quell’occasione lui gli confidò cheormai ne aveva per poco, visto quello che aveva.
Era ottimista ma era anche lucido.
Nell’ultimo anno Gianluca ha avuto alti e bassi con le terapie. Quando sembrava che tutto fosse andato per il meglio però un crollo delle sue difese con febbre persistente ne richiesero un nuovo ricovero, a Castelnuovo prima e poi a Lucca, al San Luca.
Era poco prima di Natale 2014.
A Castelnuovo lo trovai sempre combattivo, in cuor suo sapeva che sarebbe stato molto difficile ma non disperava di uscire anche da quella situazione.
Ad un certo punto lo chiama al telefono la mamma, la Renza: “come vuoi che vada,mamma? Male”
Da fuori feci finta di nulla, da dentro in quel momento sono morto io. Era la resa.
Un aggravamento la sera stessa lo portò appunto in terapia intensiva al San Luca, dove ha resistito un’altra decina di giorni.
Lo andai a trovare per Santo Stefano.
Era stanco, visibilmente provato ed incredulo di avere così poche forze, perché finché si è vivi non si pensa mai di morire.
Gli altri muoiono, non noi.
Era sempre lui, ma gli occhi erano stanchi, lucidi, forse sopraffatti.
Abbiamo chiacchierato un po, in quella stanza piena di monitor, ma comunque spaziosa e paradossalmente accogliente.
10 luglio 2013, ore 14 circa. Stazione di Lucca. Il treno della Giovanna -amica che ancora non conosco, potere delle conoscenze del 21° secolo- è in ritardo per via di un fulmine che ha strinato la linea e provocato soppressioni e ritardi piuttosto consistenti. Dai che dobbiamo partire, c’è da andare a Roma!
Verso le 16, con corollario di cellulare scaricatosi e quindi impossibilità di comunicare, tenendo conto che non so neppure che faccia abbia, la Giovanna che vien da Reggio Emilia si palesa davanti alla stazione e riusciamo a riconoscerci.
Possiamo partire.
Erika è una bella figliola toscana, intelligente, sorridente e solare, 18 anni e tanta musica in testa, testi tosti, scuola di vita. Lei è già a Roma, per lo stesso motivo per cui anche noi stiamo scendendo. E’ in giro per la città eterna, non c’era mai stata ed ogni luogo è una bellissima scoperta. Ora è a Fontana di Trevi.
Chiacchiere in macchina per conoscerci meglio, un’avventura messa su all’ultimo momento all’insegna di un “perché no? chissà quando ricàpita!” A Roma ci aspetta anche Francesca Eugenia, la terza protagonista dell’avventura.
Lei è amica mia da trent’anni, ci eravamo persi di vista per poco meno salvo ritrovarci un annetto prima in condizioni che meriterebbero perlomeno un intero altro articolo di questo blog se non di più.
Questo viaggio nasce da una specie di “se non ora,quando?” maturato per me poco dopo la fine del concerto di Bruce a Padova del 31 maggio, per la Giovanna dopo Milano del 3 giugno.
Fulminati.
Come i migliori eroinomani degli anni ’70.
Come quelli che hanno visto la luce.
Come quelli che grazie signore, posso averne un altro?
Come quelli che dopo averlo visto sono irrimediabilmente lost in the flood.
Francesca Eugenia invece non va ad un live da vent’anni. Vuole ricominciare in maniera seria. Lo farà.
Fulminati.
In realtà almeno altri due amici dovevano seguirci in questa avventura, il Gosto e la Claudia. Impegni di lavoro dell’ultimo momento hanno loro impedito di partire. Mi sarebbe costato una telefonata di 12 minuti il giorno dopo. Epica.
Erika invece aveva già pianificato Roma dopo aver seguito l’uomo di Asbury Park già a Napoli, Padova e Milano assieme ai suoi amici.
Nel mezzo ha sostenuto l’esame di maturità portando una tesina da applausi. Sul Boss e la sua musica. Fantastica!
Roma. Arriviamo tardi e non posso neppure incontrare il mio maestro di correzione del colore Daniele, come avevamo previsto di fare, perché lui ormai è sotto gli Arctic Monkeys. Solo rimandata.
Chi dice che Roma è bellissima non è andato oltre il centro storico. E’ una metropoli con tutte le brutture di tutte le metropoli del mondo. Abbiamo un B&B al Tuscolano, che non è altro che una stanza con un lettuzzo a castello all’interno di un appartamento di un cosiddetto supercondominio, un’accozzaglia di palazzine di 2-3-4mila abitanti. Bella mi’ casa.
Per fortuna il gestore è simpatico, ha trovato il modo di affittare camere chiamandole Bed&Breakfast. Vabbè, ci dobbiamo solo dormire, e neppure tanto.
Caldo bestia, proviamo ad avvicinarci all’Ippodromo delle Capannelle, dove il giorno dopo suonerà Bruce.
Un bel posto per concerti, ma ci si arriva davvero con difficoltà e ci si torna via anche peggio.
A letto presto, che la sveglia è puntata per le 4:30. Ci mettiamo a costruire un request sign con una mia foto e ci addormentiamo alle 2.
11 luglio 2013. Alle 5:15 siamo già alle Capannelle, in fila con quelle che verso le 6 sono già un paio di mila persone. Nel mucchio c’è anche Caterino Washboard Riccardi, il protagonista assoluto dello show di Padova del 31 maggio scorso. Ed anche molti altri che come sempre accade diventa impossibile incontrare per la bolgia umana, nonostante gli scambi di foto e di posizione gps in tempo reale tramite Facebook con tutti.
Francesca Eugenia e Giovanna
c’è anche Erika, da qualche parte, in fila per l’agognato braccialetto che qui a Roma è giallo.
Alla fine io avrò il numero 556. All’una (e trentacinque :-)) circa, Claudio Trotta estrae il numero di colui che entrerà per primo nel pit: 599.
Dei primi duemila, entreremo per ultimi, che culo. Alle 15:15, dopo 10 ore esatte di code, con almeno 40°C al sole pieno, entriamo nel pit. Ci mettiamo laterali a destra e conosciamo un po’ degli altri pazzi col bracciale giallo. Siamo assieme alle due ragazze toscane vestite da sposa che poi saliranno sul palco con Bruce durante Dancing in the Dark.
le due sposine toscane e il loro request sign
Nonostante il sorteggio sfortunato,siamo lì ad un passo lo stesso.
Alla fine ci siamo, verso le nove e mezza della sera partono le note diEnnio Morricone da C’era una volta il West.
L’inizio di un concerto epico, che non starò certo a descrivere canzone per canzone come già è stato fatto giustamente da moltissimi, mi soffermerò solo su alcuni momenti che lo hanno reso davvero unico.
La trascrizione dei miei sms col mio amico Gosto (che poi si chiama Massimo di nome vero), Springsteeniano di lunghissima data, più di 20 concerti suoi all’attivo…tranne questo.
Tranne questo dove ha suonato ciò che ha suonatopochissime volte in 40 anni di carriera. Povero Gosto, è sempre lì che piange.
La scaletta la trovate ovunque e saprete pure che Bruce e la E Street Band hanno suonato pezzi memorabili… il botta e risposta via sms con Massimo è un po’ lungo ma vale la pena leggerlo tutto, inizia dandomi consigli e finisce imprecando per non esser venuto, oltretutto è anche profetico ad un certo punto 😀
* * *
Claudio:
Sfiga. Sono 556, è uscito il 599
Massimo :
Non ho veramente parole! Che fortuna! Fai un cartello con scritto say hello to massimo :)))))) quello è capace di farlo davvero
Prepara i cartelli x dancing
Tu metti che vuoi ballare con soozie ( la violinista) e giovanna dalle il cartello di ballare con nils vi fa salire entrambi
Ah no contrario entrate x ultimi :)) scusa :((
Claudio :
Già
Massimo :
Beh comunque mettetevi vicino a una pedana. Lato destro della pedana mi raccomando
Perche a sinistra tiene la chitarra
:)) esperienza da pit :))
Claudio :
Ok!
Massimo :
Argh tweet di lofgren working on rome surprise. Epic night ahead. Arghhhh me misero :(((
Claudio :
Visto
Massimo :
Piango e impreco. [XXXXX XXX!] Se fa nycs vi uccido
Claudio :
Spera di pugnalarmi allora 🙂
Massimo :
Hahaha ufffff sicuramente dopo san siro bruce sara indiavolato. Voglio venire anche io :(((
Claudio :
Vieni c’è posto
C’è anche il biglietto della Claudia
😃😃😃
Massimo :
E come fo? Fino alle 1830 devo stare a lavoro e poi mi ci vorrebbero 4 ore per arrivare li
Claudio:
Era una battuta 🙂
Massimo :
Se esistesse il teletrasporto verrei anche 1 min prima dell’inizio
Claudio attento a quando da dietro si alzeranno. Potete recuperare delle posizioni :))
Ma potreste pure perderle
Claudio :
Sono nato attento 😃😃
Massimo :
Si ma tutti quelli dietro di te ambiscono a venire il piu avanti possibile. Quando ero dietro ho recuperato un sacco di file :))
Claudio :
Meno anche un po’ avanti da inculare
Massimo :
Oggi non dovrebbe uscire a fare il soundcheck ma se lo fa scatta subito
Claudio :
Certo
Massimo :
Dai che devi fare un sacco di video e foto
Avete preparato i cartelli che ti ho detto??
Claudio :
Video non so. Foto si
No non ho cartone
Massimo :
Non fa video la macchina che hai preso?
Claudio :
Si si ma non so se ho voglia di tenerla su x un pezzo o due. Ma forse si
Massimo :
Stasera sting sul palco con bruce 🙂
Claudio :
Fonti?
Massimo :
Ieri o ieri l’altro bruce al back stage di sting
Claudio :
Bene
Massimo :
Sei stato attento??
Claudio :
Si sono avanzato. È non è finita 🙂
Massimo :
Il mio amico da dietro è a quasi transenna
Claudio :
Io pure. Ora siamo tornato n po’ medierei per rimetterli tutti a sedere
Indietro
Massimo :
Male
Claudio :
No no
Male per te 😃
Massimo :
Ah si. Soprattutto x le voci che leggo
Oddio la segreteria!!! Claudio!!!!!
Claudio Stefanini:
Eh?
Che segreteria?
Stai seguendo la setlist?
Massimo :
Ha fatto incident?? Dimmi di no
Claudio :
Per ora no
Massimo :
Incident on 57th street? La conosci? Qui dicono che l’ha fatta
Chiedi!!!
Claudio :
Allora la stava facendo prima
Massimo :
Come allora la stava facendo prima????? Ma che culo avete??? Incident kitty’s roulette!!! Tre miti
Seee cosi mi butto davvero
Claudio :
Ora farà Rosalita
Massimo :
Non e vero
Rosie!
Claudio :
Ha preso il sign di NYC Serenade
Nota: a questo punto Massimo sviene, poi mi chiama sul cellulare per poter almeno ascoltare in diretta la più bella esecuzione di NYC Serenade mai sentita prima. Sono rimasto almeno 12 minuti con il mio telefono ad altezza faccia, ma ne è valsa la pena, per far si che Massimo non si suicidasse per la delusione di non essere lì con noi 🙂
Massimo :
Grazie di avermi fatto sentire nycs. Ti sei visto il piu bel concerto di Bruce di sempre in europa. E io son ancora qua che mi martello le palle! Che due coglioni
* * *
New York City Serenade merita un capitolo a parte. La sorpresa per Roma di cui parlava Nils Lofgren nel suo tweet riportato da Massimo. Nella quarantennale carriera di Springsteen suonata solo 8 volte live, Roma compresa.
Prima volta in Europa. LA più richiesta di sempre dal pubblico, c’è gente che si è fatta decine e decine di concerti con la speranza di sentirla. A Roma è accaduto, con il bonus della sezione archi dell’Orchestra Roma Sinfonietta
che l’ha resa una performance unica. Di quel momento ho ricordi vaghi, onirici. Occhi gonfi, la Giovanna era davanti a me a bocca aperta mentre Francesca era sparita perché si era sentita male, ma se la stava godendo solo qualche
fila più indietro. Di quelle cose di cui ti rendi conto solo dopo opportuna metabolizzazione.
E naturalmente, da qualche parte lì davanti c’erano Caterino, Cesare, Antonio ed Elisa, amici miei e di Joe e centinaia di altri che alla fine ci si conosce tutti tra quelli che portano il braccialetto. E c’era anche Erika. Già, Erika.
All’inizio l’avevamo lasciata a Fontana di Trevi. Lei era in giro per Roma e, come in certe favole, quasi per caso si rova nel posto giusto al momento giusto. All’improvviso da una macchina parcheggiata nelle vicinanze della fontana
esce una persona, maglietta grigia, cappellino ed occhiali scuri per dare un po’ meno nell’occhio. È Lui, solo alcuni se ne accorgono subito, pure Erika. Tra il Boss e i suoi fan c’è una sorta di rispetto reciproco che non esiste con nessun altra
star vivente al mondo. Nessun assalto, ma rispettoso avvicinamento, senza schiamazzi ed urla, per rispettare comunque la sua privacy. In cambio, Lui e lo staff si lasciano avvicinare intendendosi ad occhiate -non farmi riconoscere troppo
e io non ti faccio allontanare, vorrei solo star tranquillo dieci minuti come un turista qualsiasi- ed infatti Erika è protagonista di questo muto accordo, si avvicina a Bruce e, in silenzio, ammira la Fontana assieme a colui che con le sue canzoni
ha dato e dà gioia e speranza a milioni di persone, non intoccabile ma avvicinabile come un amico qualsiasi in gita, con uno scarnissimo servizio di sicurezza tanta è la fiducia reciproca con i fan di tutto il mondo.
Erika vicino a Bruce
Quando Bruce si allontana e torna verso l’auto, accenna ad Erika e il piccolo gruppo di fan che l’hanno riconosciuto a seguirlo in silenzio verso l’auto, dove scambierà due parole e degli autografi con tutti, prima di andare via.
e come ricompensa e prova di non aver solo sognato, Erika si ritrova un braccio autografato, ma soprattutto l’emozione di aver condiviso alcuni attimi privati con la persona che lei -e non solo lei- ammira di più al mondo:
“Stavo guardando una delle cose più belle di questo mondo accanto all’uomo più bello del mondo. Me lo ripetevo in continuazione nella testa, mentre percepivo una meravigliosa sensazione, un’aura positiva che mi avvolgeva e mi faceva stare bene. Sono stati minuti interminabili, che ho stampato nella mia mente per non dimenticarli mai più. ” (EB)
Sono così tante le cose accadute e le persone conosciute durante quella pazza due giorni che è difficile anche ricordarsi tutti gli episodi. Una cosa però voglio raccontarla, a termine di questa cronaca. Tra una fila e l’altra, in cerca di
qualcosa da bere e da mangiare, abbiamo percorso in lungo e in largo il perimetro esterno dell’ippodromo. Gli edifici sono quasi tutti fatiscenti, maltenuti, un vero peccato che si lasci andare in malora un posto così bello.
Ci sono anche diversi gatti randagi che vivono davvero alla giornata, trovando qualcosa da mangiare anche grazie alla gente che frequenta la zona in occasione degli spettacoli, oltre alle indispensabili gattare. Andando in giro nell’attesa di
entrare per l’estrazione della lotteria del pit, io e Francesca Eugenia notiamo una gatta bianca e nera in cerca di cibo, un po’ in difficoltà. Si fa avvicinare e notiamo che aveva un grosso ascesso sulla coscia sinistra, piuttosto esteso e non
ancora aperto. Allora, vista anche la mia professione, siamo tornati alla macchina a prendere il necessario e tornati alla gatta che si trovava sempre nei paraggi. Mentre mangiava abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere
in quel momento per rimediare al problema. Pulito e svuotato l’ascesso, disinfettato, somministrato antibiotici. Può cambiare il destino di un animale randagio: lasciato così avrebbe avuto almeno le sue gran difficoltà a guarire, o più
probabilmente sarebbe andata male, visto anche il caldo che faceva in quei giorni.
Poi ce ne siamo andati a far la fila per il concerto e dopo la sua conclusione siamo anche tornati a lasciare ancora un po’ di cibo per lei.
Francesca Eugenia, che è di Roma ed è peggio di me, due settimane dopo è tornata alle Capannelle a cercare la gatta.
Era ancora lì, in splendida forma, guarita e forse anche un po’ ingrassata.
Possiamo dire che è grazie a Bruce che qualcosa di bello si è avverato anche per lei? possiamo dirlo, possiamo dirlo. Una delle tante belle storie che gravitano intorno al suo passaggio 🙂
Ah, alla fine poi la mia richiesta non l’ha presa, ma chissenefrega, ha fatto ben di meglio. Ha dispensato sogni e canzoni ad ognuno di noi. Il cartello proverò a darglielo di nuovo alla prossima occasione.